sabato 15 aprile 2017

GLI ARTEFICI DEL DISASTRO

L’incipit di questa storia, potrebbe essere “Cedi la strada agli alberi”, titolo del libro di Franco Arminio. Michele, fabrianese acquisito, che come dice un noto talk televisivo “si guadagna da vivere come”  gestore dell’accoglienza in un bellissimo monastero del territorio, me l’aveva detto: “vacci a vedere di giorno che scempio al paesaggio stanno facendo da quelle parti”. Ci passo di giorno, sulla strada delle Serre, e vedo l’avvio della perimetrazione delle aree di cantiere, con le ruspe già in azione, ed immagino quello che questo comporterà per il paesaggio. E’ il cantiere della pedemontana Fabriano-Muccia del progetto Quadrilatero, quello partorito oltre 10 anni fa, che prevedeva di realizzare il raddoppio delle ss 77 e 76, e di modernizzando i collegamenti tra Marche e Tirreno. La storia di questa vicenda è molto complessa, ma la racconta bene in ogni suo aspetto Loredana Lipperini, nel libro “Quel trenino a molla che si chiama il cuore”. Dietro quel progetto, c’era l’idea della politica e di una classe dirigente, trasversale per appartenenze culturali e per livelli di governo, che la risposta più efficace ad un sistema economico che stava crollando, potesse essere che “il fare strade moderne”, urbanizzando ed edificando le aree contigue, avrebbe rimesso in moto le imprese e le lobby degli appalti, rilanciando un modello economico in crisi. “Dopo che saranno fatte le strade – mi disse uno anni fa - si arriverà dall’Umbria all’Adriatico un quarto d’ora prima.” “E poi – gli risposi – quando sei arrivato quindici minuti prima – che t’è cambiato?” Devastato già il paesaggio della Val di Chienti e dell’Alta Valle dell’Esino, per arrivare da qualche parte un quarto d’ora prima, adesso toccherà al bellissimo paesaggio collinare e pedemontano che da Fabriano si protende fino alle pendici dei Sibillini a Muccia: le colline del Verdicchio di Matelica e di altre tipicità su cui, mentre le ruspe cancellano suolo agricolo, si continua a scommettere un nuovo futuro per l’economia territoriale e turistica. Quarantadue km, 5 ponti e viadotti, una galleria da 900 m (un metro costruito in galleria fa guadagnare tre volte rispetto ad un metro a giorno). Non si è poi portati a pensare, che una strada così produrrà un danno indotto ad una microeconomia ed imprenditorialità che sono radicate nei borghi e nelle cittadine che stanno tra Fabriano e Muccia. Già molti dei piccoli produttori che vendevano patate rosse ed altri prodotti sull’altopiano di Colfiorito, adesso sono costretti a scendere sulle provinciali a valle, perché con la nuova 77, lassù non ci passa più nessuno. Pensiamo ad esempio ai bar, piccoli esercizi commerciali, e tante piccole attività artigianali che guadagnavano dall’automobilista che passava dentro i borghi tra Fabriano e Muccia; a strada nuova il loro fatturato si vedrà significativamente ridotto. Al posto del prodotto tipico acquistabile fermandosi lungo la provinciale, nella stazione di servizio che verrà realizzata lungo la superstrada si troveranno poi la maxiconfezione di barrette Kinder e l’orsacchiotto di peluche fatto dai bambini asiatici schiavizzati. Per non parlare dei danni irreversibili al paesaggio e all’agricoltura, con il consumo di suolo per realizzare strada e infrastrutture necessarie annesse.  Ma i vignaioli del territorio lo sanno? Perché non si mobilitano come stanno facendo in questi giorni gli olivicoltori salentini contro il passaggio di un gasdotto? O qui interessa solo che il furgoncino impieghi una manciata di minuti in meno per un trasporto? Ad un territorio già interessato da anni da un consistente fenomeno di spopolamento, e ora interessato da una vera e propria “strategia dell’abbandono” post terremoto, la nuova strada darà il colpo di grazia. Mi colpisce, ma fino ad un certo punto poi, che tutto questo avvenga senza che chi ha una qualsivoglia responsabilità politica od istituzionale, non dico si incateni lungo il cantiere (non sono più i tempi, e poi in molti sono corresponsabili dei fatti), ma almeno si faccia attraversare dal beneficio del dubbio. E invece no, tutti a suonar le trombe del “W la nuova strada!”. L’unico soggetto politico, il solo che rende dignità alla parola “politica” nel comprensorio fabrianese, e che si è espresso contro la Quadrilatero e questi progetti, è il Laboratorio Sociale Fabbri; ma si sa, quelli sono pericolosi estremisti… Questa strada non servirà a niente, non porterà nessun progresso e crescita, consumerà in maniera irrimediabile suolo e paesaggio a forte vocazione agricola di qualità, non ha nulla di strategico. E’ sicuramente più strategico, per la valorizzazione del territorio e per una nuova idea di essere comunità, il progetto di Paolo Piacentini, fabrianese acquisito anche lui: l’”Università del Camminare”. Perché quella non è solo un’idea per il tempo libero o hobbystica, o sentimentale (chi la pensa così sbaglia, una passeggiata non purifica il cervello…), ma è una proposta di come possa ridestarsi uno spirito civico che nel tempo è stato centrifugato e aspirato dal mito industriale, e di come sia indispensabile prendersi cura del suolo e del territorio. E questo ce lo ricorda non un ambientalista estremista, ma un urbanista del Politecnico di Milano, Paolo Pileri, nel libro “Che cosa c’è sotto”, in cui invita a diventare “partigiani della pelle del mondo”. Capita spesso di trovare sui social un leit motiv, che è quello di additare chiunque si contrapponga al perpetuarsi di modello economico novecentesco (travolto peraltro dalla crisi), come i promotori di una cosiddetta “decrescita infelice”; scimmiottando in maniera assai molto ignorante, una teoria e una prassi dell’economista francese Serge Latouche: la “decrescita felice”. Pensando malevolmente che si voglia perseguire una sorta di cialtronesco ritorno al “poveri ma belli”. Mentre il tema vero, in generale e di questo territorio,  in cui tra disoccupazione ed inoccupazione, si registrano cifre vicine ai quattro zeri, e che pone non ultimo Papa Francesco, è quello della sobrietà. Ma quest’ultimo è un valore e uno stile di vita che, come li avrebbe classificati il grande poeta colombiano Álvaro Mutis, “gli artefici del disastro” di questo territorio, non sanno ancora cosa possa significare, avvezzi ancora a praticare l’arroganza dei ricchi. 

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