giovedì 18 ottobre 2018

LA CATTIVA STRADA

Il parcheggio pieno della centrale Piazza Mattei, con il vigile urbano che controllava la circolazione, lasciava ben sperare riguardo la partecipazione dei cittadini all’assemblea pubblica sulla Pedemontana Fabriano – Muccia, promossa dall’Amministrazione Comunale al Teatro Piermarini. Invece, le presenze sparpagliate in platea, hanno subito contraddetto la mia impressione, ma anche la speranza, avuta arrivando in piazza. Poco più di quaranta persone nel complesso della serata. Che costituiscono un indicatore civico sul livello di attenzione verso un’opera infrastrutturale che cambierà, o quantomeno ambisce a cambiare radicalmente, la qualità della vita della città natale di Enrico Mattei. La Giunta Comunale, sollecitata da tempo dal civico Comitato “Pedemontana Matelica”, ha avuto il merito di proporre una serata, in cui la fattezza tecnica della realizzanda arteria stradale, è stata spiegata con chiarezza e competenza dal Responsabile Tecnico del Comune, l’ing. Ronci. Coadiuvato, quando è stato proprio indispensabile, dall’ing. Petrizzelli, della Quadrilatero s.p.a. L’Amministratore Delegato della Società, oggi tutta a capitale pubblico e compartecipata da ANAS, dott. Guido Perosino, che avrebbe dovuto partecipare, per uno dei più classici dei contrattempi ed impegni dell’ultim’ora, non è più venuto. E’ toccato al Sindaco, Alessandro Del Priori, introdurre la serata, rendendo ragione dell’impegno del Comune, nel cercare di mitigare alcuni abnormi elementi di impatto paesaggistico ed ambientale della pedemontana, per quella parte del tracciato che interessa il territorio comunale. L’opera pubblica, come ha richiamato il Sindaco, “più importante per Matelica dalla realizzazione della ferrovia Fabriano – Civitanova”. Quest’ultima, invece, purtroppo, nonostante le declamate e annunciate “cure del ferro”, si accinge a diventare progressivamente un’infrastruttura storica. Un Sindaco, consapevole, e già di questi tempi è molto, che un’opera come questa, avrebbe avuto senso oltre vent’anni fa, quando se ne iniziò a parlare. Oggi, invece, si deve fare una fatica leonina dal punto di vista dell’onestà intellettuale e della razionalità, per darsi qualche buona ragione per la realizzazione di un’infrastruttura di questa portata. Ma anche un Sindaco, e come quello di Matelica tutti i suoi colleghi, senza alcun potere di interdizione o decisorio, su opere come la Pedemontana. Perché, queste cosiddette “grandi opere”, sono regolate dalla Legge Obiettivo del Governo Berlusconi nel 2001, e dalla Legge Sblocca Italia del Governo Renzi, nel 2014. Provvedimenti legislativi, che in materia infrastrutturale, sottraggono qualsiasi potere e funzioni alle Istituzioni locali e territoriali, e di conseguenza si tratta di uno scippo di democrazia per i cittadini ed i territori. E anche l’attuale Governo, cosiddetto “del cambiamento”, e le Istituzioni locali idealmente affini ad esso, non stanno segnando ad oggi, rispetto agli anni e ai Governi passati, alcuna discontinuità; anzi. L’impatto paesaggistico ed ambientale, le problematicità dei cantieri e della movimentazione di mezzi e di materiali per diversi anni, sono stati ben resi evidenti dalla illustrazione tecnica, facilitata dalle slides e dal rendering della futura strada. Tratti in gallerie naturali ed artificiali, la carreggiata stradale che correrà su tratti in trincea o elevati rispetto al piano campagna, svincoli con rotatorie dalle dimensioni areali che potrebbero servire flussi di traffico metropolitani (e non le poco più di dodicimila auto giornaliere che in media attraversano la città di Matelica, che conta circa diecimila abitanti). Questa Pedemontana di 42 Km (l’attuale tracciato di strade regionali è meno di 40 km), che escluderà dal traffico extraurbano, tra Fabriano e Muccia, i Comuni di Cerreto D’Esi, Matelica, Castelraimondo e Camerino, andrà a sventrare ettari ed ettari di colture di pregio, i vigneti del Verdicchio di Matelica, sradicare filari di querce secolari, attraverserà in diagonale interi poderi, arrecando un danno ad una economia importante per questo territorio, che rappresenta un futuro occupazionale autentico, dopo l’implosione del “distretto del bianco”. Con conseguenze, che per gli imprenditori vitivinicoli non saranno compensabili dalle cifre offerte dalla società satellite della Quadrilatero s.p.a, la Esproprianda s.r.l. Ma allora, alla fine, oggi, a che cosa servirà realmente la Pedemontana? Non certo alla velocità, considerato che si tratta di una strada con un’unica carreggiata a due corsie, con limite da Codice della Strada a 90 km/h. Non certo agli spostamenti delle popolazioni locali, considerando che gran parte degli abitanti di Castelraimondo e Camerino li ha già delocalizzati definitivamente in altri luoghi il sisma dell’ottobre 2016. E nemmeno a tutte quelle piccole attività economiche lungo e dentro i centri abitati, che vedranno perdere il proprio fatturato, come già avvenuto in altri posti per scelte analoghe, a causa del minor transito veicolare. Per risolvere alcuni piccoli congestionamenti quotidiani del traffico dentro Matelica, attenuare l’impervia salita delle Serre verso Cerreto da Fabriano, o per migliorare i piccoli tornanti tra Matelica e Castelraimondo, non era sufficiente intervenire, come dice qualcuno animato da buon senso, con “qualche bretella e raddrizzando qualche curva”, invece di spendere per quest’opera circa 320 milioni di euro? Sono un po’ queste, alcune delle domande, poste con cognizione tecnica dai presenti in platea del Teatro Piermarini, con pacatezza e competenza, perlopiù esponenti del Comitato Pedemontana e proprietari di terreni produttivi espropriati. A questi, da una parte, le risposte dell’ing. Petrizzelli, disponibile a valutare piccole modifiche su un progetto esecutivo, per definizione stessa non modificabile. E del Sindaco Del Priori, a fianco, per quello che potrà fare, delle istanze di questi cittadini ed imprenditori. Su tutti, la chiosa finale, per certi versi conclusiva, dell’Assessore all’Urbanistica, LL.PP. e Viabilità del Comune di Matelica, Massimo Montesi che, coniugando una esperienza e cultura politica intrise di verace riformismo emiliano di un tempo, e di decisionismo imperativo di manzoniana letteratura, ribadiva ai presenti che, siccome questa strada s’è decisa da anni, “s’ha da fare”. E, su tutta questa storia, considerata l’incerta finanziabilità completa dell’opera da parte del CIPE, e i guai quasi irreversibili, aziendali e finanziari, del Gruppo Astaldi, impresa aggiudicatrice e realizzatrice dell’opera, parafrasando una canzone di Enzo Jannacci, oltre “la tristezza”, anche l’incompiuta “è lì a due passi, e ti accarezza e ride, lei”. Una prospettiva che, considerati i cantieri già aperti, i tratti realizzati, lascerebbe delle ferite non più sanabili al territorio, e dei danni alle comunità e al paesaggio. E davvero, lo skyline di questi dolci colline, che rappresenta un tratto identitario di questa parte del pre-Appennino Marchigiano, che si affaccia verso quelli che Leopardi chiamò “i monti azzurri”, si potrà definire una terra mutata. Ma non a causa delle cicliche intemperanze violente della natura, come il terremoto, ma per la scellerata ed irresponsabile azione dell’uomo.

mercoledì 17 ottobre 2018

IL PREZZO DELLA TRASPARENZA (a Genga, almeno)


Certo, che la vita da cittadino, in certe situazioni, è difficile. Intendo se vuoi essere un cittadino attento, informato, e partecipe di quelle che sono le dinamiche gestionali e decisionali delle Istituzioni politiche che regolano la vita del posto dove abiti. Poi, se non te ne importa nulla, la qualità della vita nel luogo dove stai non è la tua priorità, se non pensi che chi ti amministra ti debba garantire dei servizi, agendo nella trasparenza, se sei uno di quelli che il voto se lo vende per un frizzantino, allora tutto chiaramente è molto più semplice e indolore. Ma alla fine, non sei diverso dal somaro che abbassa la testa per paura del padrone. Cercavo da tempo un’Ordinanza Sindacale del Comune di Genga, che disciplina la viabilità della strada comunale della mia frazione, di molti anni fa. Uno di quei provvedimenti di cui si parla, si dice, si menziona, ma di cui nessuno sa bene cosa ci sia scritto. Un atto, che per età, non si trova sull’Albo Pretorio on line del Comune, che per le Ordinanze non va indietro nel tempo oltre il 2010.  Per cui mi sono recato in Comune per fare la richiesta di accesso agli atti ai sensi della Legge 241 del 1990. Chiedendo di avere copia semplice del documento che mi interessava. Era il 10 settembre 2018. Il 4 ottobre, mi arriva un email del Comune, firmata dal responsabile dell’Ufficio competente, che mi comunicava che, per avere copia semplice di quell’atto che risultava essere del 1991, avrei dovuto versare anticipatamente alla Tesoreria Comunale 30 centesimi di euro per il costo della fotocopia (trattandosi di un solo foglio), più 50 euro di diritti di ricerca, trattandosi di un documento di oltre 10 anni fa. I 50 euro, stabiliti non dalla legge, ma da una delibera, la n.7 del 19 gennaio 2002, della Giunta Comunale di Genga, con oggetto: “Approvazione tariffe e rilascio copie documenti – art. 6 comma 2 del Regolamento Comunale per il diritto di accesso agli atti amministrativi: conteggio diritti”. Abbastanza sconcertato che ad un cittadino, dovendo per legge favorire il diritto alla trasparenza e all’informazione, un Comune chieda 50 euro, mi informo su altri Enti per sapere un po’ come si regolano. A Jesi ad esempio, a prescindere dalla stagionalità dell’atto non si paga nulla, oltre il costo della fotocopia (20 centesimi di euro, meno che a Genga…). Ho il buon esempio dell’Unione Montana Esino Frasassi, dove per una richiesta di atti e documenti, abbastanza corposa, non solo non mi hanno chiesto il pagamento di alcun diritto per qualcosa, ma addirittura mi hanno spedito a casa con raccomandata A/R i documenti chiesti. La cosa che poi costituisce un aggravante, è che sull’Albo Pretorio on line e sul sito del Comune di Genga, la delibera di Giunta del 2002, non c’è; o meglio c’è solo il frontespizio che non dice nulla nel merito, con i nomi dei componenti della Giunta di allora, tutti presenti. Così come non c’è on line sul sito del Comune il richiamato Regolamento per il diritto di accesso agli atti. Il 5 ottobre rispondo all’email del responsabile comunale, chiedendo se per la sola presa visione del documento fosse necessario pagare qualcosa. Mi risponde, sempre in giornata, che “per la sola presa visione l’esame è gratuito”. Per cui qualche mattina dopo salgo in Comune, vado all’ufficio di riferimento, e il responsabile mi mette sopra tavolo il foglio del documento richiesto perché potessi leggerlo, tirandolo fuori da un fascicolo posato sulla sua scrivania. “Se vuole – mi dice - può fotografarlo con il cellulare”. Per cui, il paradosso grottesco è che ho il documento che cercavo, che posso stampare e volantinare, senza aver pagato il costo della fotocopia e i 50 euro del diritto di ricerca. Ricerca che, e questo è l’assurdo, un impiegato comunale ha comunque fatto nell’archivio comunale, dentro qualche vecchio scaffale e faldone, per far arrivare quel foglio sopra il tavolo del responsabile del servizio. Sia che io avessi voluto una copia semplice, sia che avessi voluto semplicemente prenderne visione. Nel mentre, il 7 ottobre, abbastanza incazzato per tutta questa storia miserabile, avevo fatto un quesito all’Ombudsman della Regione Marche, il Garante dei Diritti dei Cittadini, quello che un tempo si chiamava semplicemente il Difensore Civico Regionale. Chiedendo se questa questione dei 50 euro richiesti, fosse regolare rispetto alla legge, o se fosse un prezzo, considerata l’onerosità per il cittadino, che di fatto proibisse e scoraggiasse il diritto alla informazione e alla trasparenza. Con grande dovizia di riferimenti normativi, il 16 ottobre, il Garante mi ha risposto, ed inviato la risposta via p.e.c. anche al Comune di Genga. In sostanza, dalla risposta si evince che il Comune di Genga applica un regolamento legato ad una delibera di Giunta del 2002, e non aggiornato con la normativa di riferimento attuale che è del 2006. Inoltre, la tariffa oggi richiestami di 50 euro per i diritti di ricerca, contravviene il Regolamento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del 31 maggio 2016, che fissa una soglia massima di 12,50 euro per il diritto di ricerca. Che dire, in conclusione? Semplicemente che questo piccolo fatto, conferma la cultura politica che a Genga, ma anche da altre parti, da troppi anni opera perché trasparenza ed informazione non siano una pratica quotidiana e un patrimonio di valori condiviso con i cittadini. Perché, chiaramente, quest’ultimi, meno sanno, conoscono, sono informati, più la politica melmosa e putrescente, che manovra la cosa pubblica favorendo solo gli interessi particolari di alcuni, sopravvive, si perpetua, si riproduce.