“… uscì chiudendo dietro a se la porta
verde”. In effetti il portone di casa a Jesi, adesso che ci penso, era verde.
Ma non avevo in mente "Amerigo", la canzone di
Guccini, quella mattina nel partire da Jesi per Ancona; quanto,
piuttosto, questo me lo ricordo ancora bene, l’incipit de “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino: “a Kim
e a tutti gli altri”. Che in testa avevo mutuato in “a Palmina e a tutti gli
altri”.
Si, in fondo, il sentimento che mi aveva
mosso in quei mesi ad operare in un determinato modo, era quello: una cava su
Monte S. Angelo sarebbe stata, ancor prima che una lesione irreversibile al
paesaggio e la solita opera speculatrice, un oltraggio alla memoria di Palmina
Mazzarini di anni sei, e di tutte le altre vittime della barbarie fascista e
nazista, consumatasi su quel monte tra il 3 e il 4 maggio 1944; uno stupro non
solo del paesaggio pubblico naturale ai fini del guadagno di privati, ma una
nuova violenza anche alle vite di quelle persone. E se parte della politica a cui ero appartenuto per tanti anni, non sentiva come me che quel monte ha una sua sacralità, allora era il sintomo che in quella casa comune, c'era molto che non andava.
Durante il viaggio verso la sede del
Consiglio Provinciale avevo rifatto di conti: i numeri c’erano, e tutto sarebbe
dovuto andare secondo quanto concordato con gli altri.
Questa storia, che finisce il 24 maggio
2012 alle ore 18.04 presso l’Aula Magna di una scuola superiore di Ancona, dove
da anni si svolgevano la sedute del Consiglio Provinciale, era iniziata diversi
mesi prima, a cavallo tra novembre e il dicembre dell’anno prima, presso la
sede del PD di Chiaravalle.
In un pomeriggio in cui si era riunito lì il
Gruppo Consiliare del PD, partito di maggioranza politica e numerica, di cui
dal 2007, inizio delle consigliatura, ero Capogruppo. Durante la riunione, il
VicePresidente della Giunta Sagramola, con delega alle attività estrattive, ci
aveva buttato nella discussione, un po’ “fuori sacco” come si dice, l’esigenza
della Giunta di andare a rivedere nei prossimi tempi, il Programma Provinciale
delle Attività Estrattive, approvato nel 2004.
Ciò, nonostante la Sentenza del Consiglio
di Stato nel 2011, che aveva dato ragione al ricorso Italia Nostra ed altri, bocciando
di fatto l’atto. Ricorso mosso contro i contenuti di quella programmazione, e
accoglimento motivato da incompletezza di documentazione ed errori
cartografici; ma che adesso, almeno secondo la Giunta, modificando un po’ il
Programma e aggiustando le cartografie, si poteva procedere all’avvio del
processo di realizzazione delle nuove cave nell’entroterra montano della
Provincia di Ancona. Una di queste riguardava il Monte S. Angelo di Arcevia.
In quella circostanza, dopo un incrocio
volante di sguardi con alcuni consiglieri, feci subito presente al
VicePresidente che, considerati anche i tempi di avvio verso la conclusione di
quell’esperienza amministrativa, “non c’erano le condizioni politiche” per
aprire un percorso consiliare nel senso da lui prefigurato.
Da quel pomeriggio ufficialmente non si
riparlò più di quella questione. Ma intanto le cose andavano avanti. Tra i
Consiglieri se ne parlava, come si dice, nei corridoi, ed anche la Giunta era
silenziosamente operativa.
Tanto che a fine inverno 2012 la Giunta
Provinciale, con la Presidente Casagrande e il VicePresidente, entrambi PD,
tornarono alla carica. Il Consiglio Provinciale avrebbe cessato, per scadenza
elettorale naturale, la sua funzione a fine maggio e, cosa unica e
straordinaria, non se ne sarebbe rieletto uno nuovo.
Ciò perché, qualche tempo, era stata approvata
la Riforma Monti di soppressione delle funzioni elettive e rappresentative
delle Province. La gestione dell’Ente sarebbe temporaneamente passata ad un
Commissario Straordinario, che avrebbe traghettato la chiusura della Provincia,
con la redistribuzione di competenze amministrative e personale alla Regione e
ai Comuni. Ma questa, è un’altra storia, finita anch’essa diversamente, perché
le Province ci sono tutt’oggi; l’unica cosa che è stata soppressa è il diritto
democratico dei cittadini di eleggerne direttamente i rappresentanti.
I due vertici della Giunta riproposero la
questione ad un’altra riunione del Gruppo Consiliare PD, e poi anche ad una
della maggioranza politica di centrosinistra; in entrambe le situazioni, furono
con civiltà ed educazione politica invitati a lasciar perdere quell’atto
amministrativo, per ragioni di merito e di metodo.
Ricordo in una di queste circostanze un
colloquio tra me e i due un po’ teso, in cui assunsero quasi un tono di sfida,
affermando che avrebbero portato l’atto in Consiglio Provinciale, comunque. Gli
risposi che nei mesi scorsi avevano ascoltato dubbi, perplessità, contrarietà
di molti Consiglieri, e dissi loro perentoriamente “non fatelo, chè finisce
male”.
Da quel momento si era aperta la sfida
politica. Da marzo la Giunta predispose l’atto per il Consiglio, ci furono
riunioni di Commissioni Consiliari, a cui partecipano come auditori esterni i
soggetti privati interessati ad avere le concessioni; riunioni molto
sgradevoli. Nonostante sarebbe stato opportuno, non vennero però mai auditi né
Italia Nostra, né l’ANPI Nazionale, che si era anni prima costituito ad audiuvandum al ricorso fatto
dall’associazione ambientalista.
In quei mesi, al contrario, io avevo
sentito Italia Nostra Marche e l’ANPI, perché non riuscivo a giustificare che
una Giunta di centrosinistra, nel momento in cui ritornava su determinati
passi, non avesse neanche ipotizzato di prendere in considerazione l’apertura
di un confronto con quelle realtà associative democratiche; e che, invece, fosse
esclusivamente portatrice delle istanze, seppur legittime, di imprenditori
privati.
Il mio interlocutore di Italia Nostra
divenne in quei mesi Gianfranco Marcellini, arceviese e coordinatore del
Comitato di cittadini ed associazioni contro la cava a Monte S. Angelo. Ci
vedemmo più volte, conobbi l’impegno del Comitato, e ne compresi e condivisi le
ragioni.
Ragioni di tutela ambientale e di
valorizzazione democratica, memorialistica e storica. Ma anche economiche, in una
territorio che non aveva più bisogno di quel tipo di attività di rapina e
depredazione, perché stava provando a costruire un nuovo modello di economia, molto
più sostenibile, e legato alla valorizzazione del patrimonio paesaggistico ed
enogastronomico. Lasciai perdere di interloquire con il Comune di Arcevia, non aveva competenze dirette, e già a livello politico, lì era arrivata la stagione del "si, ma anche". Per l’ANPI mi rivolsi al Nazionale. Avendo percepito una certa
timidezza di quello locale, ed essendo il Presidente Regionale Nazzareno Re
gravemente malato, pur essendo stato lui l’ispiratore anni prima dei ricorsi
giuridici.
Scrissi a fine aprile una email al
Presidente Nazionale, Sen. Carlo Smuraglia, partigiano. Non lo conoscevo personalmente. Mettendolo a conoscenza
di quello che stava accadendo in Provincia di Ancona, delle molte perplessità e
contrarietà politiche, della volontà della Giunta Provinciale, e chiedendo
indicazioni sul da farsi.
Carlo Smuraglia mi rispose con una lettera
postale speditami a casa con francobollo, datata 12 maggio 2012. In quella
lettera, che lui mi autorizzò, qualora avessi ritenuto, a rendere pubblica,
c’era un passaggio molto chiaro: “(…) A mio parere, quel progetto deve essere
avversato in tutti i modi consentiti, come del resto è accaduto nel passato
(…)”. Il “deve”, è un indicativo presente. Usato da un militare, un Comandante
Partigiano, diventa un’indicazione impegnativa.
Cominciai a ragionare su cosa potessi fare
io, per quello che era il mio ruolo in quella vicenda, per rendere operativo
quel “deve”. Mi recai in quelle settimane anche a Roma, all’ANPI, dove
incontrai Marisa Ferro, che conosceva tutta la questione, avendola seguita anni
prima insieme a Nazzareno Re.
Nel mentre, l’ultima seduta del Consiglio
Provinciale, era stata fissata per il 24 maggio, anniversario del Piave. La
Giunta, con un altro eccesso di provocazione, aveva fatto iscrivere all’Ordine
del Giorno, nonostante il clima politico, la delibera di competenza del
Consiglio Provinciale, tesa ad avviare le procedure per aprire, tra altre, la
cava a Monte S. Angelo.
Si, perché c’è poi da dire che la Giunta
non aveva competenza decisionale, e di conseguenza non c’era una Delibera di
Giunta da ratificare, ma solo delibera di Consiglio; di conseguenza, ogni
responsabilità politica, amministrativa, e giuridica, era rimessa al voto dei
Consiglieri Provinciali.
Avevo in quei giorni pensato a quale fosse il
modo migliore per affossare quell’atto. Ritenni il metodo del sabotaggio, il migliore. Il voto contrario sarebbe stato
tombale, ma più difficile da proporre agli altri Consiglieri, intimoriti magari
di esporsi ai potenziali, seppur alquanto improbabili, ricorsi dei cavatori. Ma
altrettanto tombale e conclusivo, sarebbe stato far mancare il numero legale al
momento del voto, e far sospendere e terminare la seduta del Consiglio; che,
essendo l’ultima in assoluto, non avrebbe avuto riconvocazioni.
Così convinsi, senza neanche molta
insistenza, il numero di Consiglieri Provinciali necessari (la metà più uno) ad
abbandonare l’Aula al momento del voto; la maggioranza, fatta eccezione per alcuni
consiglieri del PD, era tutta con me. In questo, oramai tra me e il PD era
iniziato un silenzioso percorso di distanziamento politico. Avevo deciso da
tempo, quando ancora si pensava che ci sarebbero state le elezioni provinciali,
di non candidarmi più. Questo vicenda e il suo tema, sono stati “il lungo
addio”.
All’allora segretario provinciale del PD
Lodolini, giovane e in carriera, non interessava mettersi in mezzo in maniera
divisiva su questa faccenda; non si schierò, non cercò neanche di ricomporre e
mediare una frattura evidente e profonda tra il Gruppo Consiliare con la
Presidente e il VicePresidente della Provincia.
Lasciò consumarsi lo scontro, da cui sapeva
che alcuni protagonisti sarebbero usciti di scena o quantomeno indeboliti
rispetto a mire future; e ciò di conseguenza significava che per lui ci sarebbe
stato più spazio. E questo atteggiamento, fu il più nitido modo di schierarsi e di svolgere una funzione politica.
Oltre i Consiglieri di maggioranza poi, ottenni,
nei giorni precedenti, la garanzia, a certezza dei numeri, che se anche non in
prima battuta, alcuni Consiglieri di opposizione sarebbero venuti via dall’Aula.
I conti portavano.
E fu così, che quel giorno, l’ultimo
Consiglio Provinciale di Ancona, si svolse in un’atmosfera surreale, di una
finta normalità e di una malcelata tensione; perché la Giunta Provinciale
sospettava che qualcosa sarebbe successo, ma non immaginava se poi alla fine
sarebbe successo davvero, e soprattutto cosa.
E arrivò metà pomeriggio, in cui il
Presidente del Consiglio Provinciale annunciò la trattazione dell’ultimo
argomento all’Ordine del Giorno dell’ultima seduta dell’ultimo Consiglio
Provinciale di Ancona: “PROGRAMMA PROVINCIALE ATTIVITA' ESTRATTIVE (P.P.A.E.) -
PRESA D'ATTO SENTENZA CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE (SEZIONE
QUINTA) N. 4557/2011 - INDIRIZZI PER IL COMPLETAMENTO E L'ATTUAZIONE DELLA
PROGRAMMAZIONE”.
E, a quel punto, in 13 Consiglieri (2, per essere sicuri, non
erano venuti proprio alla seduta del Consiglio), compostamente e
silenziosamente, ci alzammo e uscimmo dall’aula.
Ognuno partì, fuori dall’Aula per
tornarsene a casa o dove credeva; non ci trovammo da nessun altra parte, non ci
fu nessun crocchio di cospiratori. Io andai in macchina a S. Ciriaco, e mi
sedetti su una delle panchine da dove si vede dall’alto il Porto e il mare. In
aula, intanto, si verificava più volte il numero legale con appelli nominali;
dopo l’avvio di un embrione di trattativa dell’argomento, si alzarono e
uscirono il Consigliere di opposizione e del Gruppo Misto che avrebbero fatto
mancare per sempre il numero legale.
Mi arrivò, mentre il sole stava prendendo
la discesa, la telefonata che mi informava che il numero legale in Aula non
c’era più, e che il Presidente del Consiglio aveva dichiarato chiusa la seduta.
E con essa, l’intero mandato consiliare dal 2007 al 2012. Mi accesi un sigaro,
e pensai che la missione poteva considerarsi compiuta, e rimasi lassù a
guardarmi il tramonto.
Visto che quello che era successo il 24 maggio,
seppur sottaciuto pubblicamente dai vertici del PD, era una politicamente una
roba grossa, considerato come si fosse concluso l’ultimo consiglio provinciale,
cosa che stava facendo più giri, qualche giorno dopo scrissi una lettera
pubblicata da un quotidiano online regionale.
In cui, il 9 giugno 2012 nel fare una riflessione politica molto generale su quel Consiglio Provinciale, tra altro scrivevo:
(…) Ora che il Consiglio Provinciale
è stato sciolto, la politica ha due strade. O continuare a pensare che Monte S.
Angelo ad Arcevia possa essere un sito dove aprire una cava, oppure che, per la
quello che rappresenta nella memoria democratica ed antifascista della Regione
e del Paese, possa divenire un luogo legato ad un’idea diversa di economia
territoriale, che muove dal valore del paesaggio e delle infrastrutture della
cultura, e cogliere nuove opportunità per un nuovo modello di sviluppo. (…) Istituire
a Monte S. Angelo un Parco Storico della Memoria, significherebbe ampliare
maggiormente le opportunità del territorio, e tutelarne per sempre i valori e
la storia.(...)”
La questione poi proseguì con atti
monocratici, politicamente discutibili, della Presidente della Provincia che
era divenuta Commissario Straordinario dell’Ente, sempre impugnati al TAR e
Consiglio di Stato da ANPI e Italia Nostra, con sentenze alternate.
Il 5 maggio 2013 l’allora Presidente della
Camera on. Laura Boldrini, fu invitata ad Arcevia per l’Anniversario
dell’Eccidio di Monte S. Angelo. Nel suo discorso ufficiale invitò con nettezza
ad archiviare definitivamente la prospettiva di una cava a Monte S. Angelo e a
farne invece un Parco della Memoria. Quel discorso provocò molti mal di pancia
nelle Autorità locali presenti in piazza, nei dirigenti del PD, ma anche una
lettera della Provincia di Ancona (prot. n. 69466 – 07.05.2013) alla Presidente
della Camera, in cui si evidenziava una certa sorpresa, per essersi interessata così specificamente di una questione così localistica.
Il 18 giugno 2013 il Consiglio Regionale
delle Marche approvò la Legge 121, in cui veniva prefigurata l’istituzione di
luoghi della Memoria. Un primo passo avanti.
Il 28 luglio scorso, otto anni dopo quel
2012, il Consiglio Regionale delle Marche ha approvato la legge 172: “DISPOSIZIONI
PER LA VALORIZZAZIONE DEI LUOGHI DELLA LOTTA PARTIGIANA E DELL'ANTIFASCISMO
DENOMINATI PARCHI DELLA MEMORIA STORICA DELLA RESISTENZA”, in cui c’è “l’area
di Monte Sant’Angelo del Comune di Arcevia teatro delle battaglie per la
liberazione dal nazifascismo e della strage nazifascista compiuta il 4 maggio
1944”.
Questo ultimo atto normativo, considerato
anche l’articolato generale dello stesso, ritengo possa preservare per molto
tempo ancora Monte S. Angelo dalla ferocia del capitalismo. A me ha consentito
di raccontare, essendo passato il giusto tempo, una storia che anni fa è stata
davvero, in quel 24 maggio, la mia personale linea del Piave. Chiaramente, come
si dice la guardia non va mai abbassata; con il nuovo Consiglio Regionale, sia che vinca il piddì più altri, che la destra, può sempre succedere di tutto.
Nota dell’autore: alcuni personaggi di
questa storia, purtroppo, non ci sono più: Marco Grandi, Consigliere
Provinciale di Forza Italia; Nazzareno Re, Presidente ANPI MARCHE e Patrizia
Casagrande, Presidente della Provincia di Ancona. Con Patrizia ho avuto sempre
un rapporto di amicizia e di affetto, confermato anche dopo quell’esperienza di
Consiglio Provinciale, nelle poche occasioni in cui ci siamo rivisti. Sul piano
politico le differenze sono stata molte, così come ci sono state molte convergenze; gli scontri anche, sempre a viso aperto
ma con lealtà e rispetto personale. Ma quello, era un altro modo di vivere la
politica. Che non esiste più da anni. E per questo che è stato giusto smettere
e a starne lontani.
Note – documenti citati
1) atto di Consiglio Provinciale di Ancona
n. 65 del 24.05.2012
2) atto di Consiglio Provinciale di Ancona
n. 88 del 26.07.2004
3) Legge Regionale Marche n. 121 del 18.06.2013
4) Legge Regionale Marche n. 172 del
28.07.2020