domenica 9 dicembre 2018

SONO SOLO CANZONETTE

Ora è il momento del dolore". È questo oramai l'incipit, da anni, del cerimoniale istituzionale e di Stato. Che ricorre e viene praticato, a seconda della fattispecie del caso. Vuoi un'alluvione, un terremoto, un ponte che casca, un cedimento strutturale di un fabbricato, una tragedia in una discoteca, come a Corinaldo.
Dopotutto, che cosa si potrebbe o dovrebbe dire di diverso? 
Per classi dirigenti che si succedono rapidamente, non responsabili nessuna, nello specifico temporale, del fatto accaduto; ma accomunate in una responsabilità collettiva, tutte assieme, da una filiera di tragici episodi, pur diversi tra loro, che si succedono negli anni. E, ogni volta che il dramma del momento ci fa fermare qualche attimo a tirare una riga come nella somma aritmetica, ci mettono di fronte ad un Paese e ad una comunità nazionale allo sfascio, materiale ed etico. 
Perché, in quel momento matematico di manifesta lucidità, prendiamo atto che quello che è successo nuovamente, non è la straordinarietà, l'accidentalità, l'eccezione alla regola.
Ma è, drammaticamente, regola. Quanti locali, privati e pubblici, sono in Italia, nelle stesse condizioni di sicurezza strutturale e modalità gestionale, della Lanterna Blu di Corinaldo? Migliaia, probabilmente. Come i ponti, viadotti, piccole e grandi infrastrutture. Come lo era il Ponte Morandi di Genova. O la Casa dello Studente a L'Aquila; o la scuola di San Giuliano di Puglia. 
E allora, la questione centrale della discussione, non può ridursi appena poco oltre il fatto scatenante la tragedia, per quanto esecrabile, come lo spray urticante a Corinaldo o il petardo a Piazza San Carlo a Torino. E se alla Lanterna Blu di Corinaldo, con dentro molte persone in più del consentito, ci fosse stata una scossa di terremoto (frequente da queste parti), o un accendino che per gioco o per sbaglio avesse dato fuoco ad cavo elettrico, o ad un piumino sintetico, sarebbe cambiato qualcosa? Sarebbe stato possibile gestire con ordine e in sicurezza il panico venutosi a creare? No.
"Ora è il momento del dolore", è la frase, non certo di circostanza ma sinceramente sentita che si usa, temporalmente per qualche ora o giorno, in circostanze come quella di Corinaldo. Ma dovrebbe, per avere davvero una efficacia rigerante, diventare uno status permanente di una società intera, cittadini e responsabili istituzionali, che sentano davvero dolore per non aver saputo, o conosciuto, o aver avuto la volontà e il tempo di informarsi, che decine di migliaia di adolescenti di questo Paese, hanno come idolo, mito, punto di riferimento valoriale, un cantante come Sfera Ebbasta. Uno che mette in musica testi così (ne metto uno a caso, ma leggetene anche altri):

Non fottere il mio squad
Da C.O.G.O
Non fottere il mio squad
Da C.O.G.O

Roccia sto col ‘Rkomi
Segna Calvairate
Faccio un salto a Nord-est che Ciny è ospitale
I miei fra' fumano Northern affacciati in Aler
Un fumo così crema
No Frè non scaldare
Roccia ho portato il mare a Milano
Ho ancora il rispetto di dove abitavo
La tua squad varrà si e no 7 carati
Scendo in Drilliguria mi sembran Caraibi
Falco offre cena che ha vinto ai cavalli
NEURO SERT all'EuroBet
Per me no, non puntare il pari
Quando parli a Tedua devi moderare
Tu vuoi un beat di Charlie ma non lo sai usare

Non fottere il mio squad
No, no, Non lo fare
Da C.O.G.O, dacci oggi il pane
La mia pussy gira in casa in Lingerie Orientale
Ha big booty jeans e inala droghe ricettate
E non lo sanno che faccio da solo
No no loro non lo sanno
Sta strada è un tesoro
Se chiedi perché lo faccio
Rispondo per loro
Prima era tutto uno scherzo
Mo per Vito è un lavoro

I tuoi con le Canon
I miei coi cannoni
Zero cinta, soldi in tasca
Casca il pantalone
Dimmi tu come li fai
O se li hai e non li sudi mai
Giri in quartiere con Manu e con Vito
Tu punti il dito
Stiamo vincendo fra'
Mi sa sei il solo che non l'ha capito
Stiamo provando a scappare dai guai
Cambiare vita non l'ho fatto mai
L'unica cosa che cambia col tempo
E' la tipa che scopi e i modelli di Nike
In zona non pompano i pezzi d'amore
Si pompano la tua tipa
Che si fa scopare in cambio di un raglione
Chiaro che non vuoi più avere ragione
Quando c'è orecchio in mezzo alla faccenda
Guardo la tua giacca è in finto montone
Pensa alla tua finta vita di merda

Non fottere il mio squad
No, no, Non lo fare
Da C.O.G.O, dacci oggi il pane
La mia pussy gira in casa in Lingerie Orientale
Ha big booty jeans e inala droghe ricettate
E non lo sanno che faccio da solo
No no loro non lo sanno
Sta strada è un tesoro
Se chiedi perché lo faccio
Rispondo per loro
Prima era tutto uno scherzo
Mo per Vito è un lavoro

È il palesarsi di questo palinsesto di valori, di una concezione delle relazioni e della vita per migliaia di adolescenti italiani, che rappresenta il fallimento di una comunità di adulti. A prescindere dal ruolo. La consapevolezza di averli lasciati andare dentro un tunnel dell'orrore culturale ed educativo. Di averli esclusivamente spinti dentro una macchina in corsa, dove la benzina è solo il denaro. E che è il nostro unico valore di misura per tutto. Una colpa questa, più grave di un ponte non manutenuto e controllato, o di una scuola costruita male. Perché in questo caso, non c'è solo più colpa, ma dolo. Perché siamo consapevoli di ciò che si trattava, di ciò che stavamo facendo. Almeno dall’ingresso nella società italiana della televisione commerciale. 
Il fallimento di generazioni di adulti che non sanno più dire, con discernimento, un SI o un NO, ai propri ragazzi. Che non sanno più indicare con autorevolezza gerarchica, in senso orizzontale e laico, quale è l'albero del bene e del male, ai più piccoli. Autorevolezza di una generazione adulta che sa dire con fermezza ed intransigenza, che al concerto di Sfera Ebbasta non ci si va non perché si fa tardi la notte, o perché come è gestito quel locale non è certo rassicurante, e lo si sa da tempo. Ma perché le canzoni di quell'essere lì sono una merda; perché i valori e le relazioni tra le persone, con cui si diventa grandi ed adulti, sono il contrario di quello schifo cantato. 
Ecco, questo è il dolore straziante che arriva da quel locale di Corinaldo. Facile, a dirsi, per me che non ho figli. Però ho avuto un padre, come deve essere un padre, e per fortuna ce l'ho ancora, che mi portò al primo concerto da adolescente, a sentire le canzoni di uno sulla sedia a rotelle che cantava suonando la chitarra. Che non sapevo manco chi fosse, ma le cui canzoni raccontavano un senso della vita e dei valori, che mi hanno, insieme ad altro certamente, aiutato a credere che l'essere uomini significhi vivere e relazionarsi in un certo modo. E il mito erano le idee che c'erano in quelle canzoni, non chi le cantava, se era figo, bello o ricco. E, seppur corresponsabile di un fallimento generazionale, sono consapevole e lucido di questo. Per questo tutto quel dolore che arriva da Corinaldo, è inconsolabile anche per chi, l’altra notte, a Corinaldo non ha perso quello che si ha di più caro.

sabato 1 dicembre 2018

NIENTE HA PIU' REALTA' DEL SOGNO


Da un po’ di tempo, incrociandosi nello struscio lungo le scale con le guide di moquette dell’Aula, ne avevano cominciato ad accennare. Alla spicciolata, dapprima. Un sussurrato, un bisbigliato, nella casualità degli incontri. Poi qualche giorno dopo s’erano ritrovati tutti assieme ad una cerimonia, ed allora, l’uno di fianco l’altro in prima fila sulla sinistra, presero il toro per le corna. Approfittando del ritardo di inizio dell’evento.
“Sentite – disse il primo rompendo il ghiaccio – oramai sono passati oltre due anni. Secondo me è giusto che gliela diciamo tutta fino in fondo. Dobbiamo avere l’onestà e il coraggio della verità, per una volta. Mettiamo da parte i ruoli, passati e presenti, e proviamo ad essere uomini veramente di Stato.”
“Si – abbozzò il secondo – me pare giusto. Almeno se mettono ‘l core in pace.”
“Ci sto –chiarì il terzo – ma a patto che voi due non fate i bischeri come al solito, e mi si dà la colpa sempre a me”
“No, no – disse il secondo – qui o è chiaro che stamo tutti su la stessa barca, o nun famo proprio gnente. Io c’ho pure le discendenze da quelle parti.”
“Tranquilli – riprese il primo – tutti assieme, senza trucchi e furbizie. Vale primo per me, che in pochi mesi già là ci sono andato ben tre volte. Io però bisogna che mi porti pure quegli altri due.”
“E che palle – sbottò il terzo – tu sempre con codesti badanti appresso. A un patto però. Che almeno stanno in disparte e non insieme a noi tre. Almeno un poco di rispetto per il cerimoniale.”
“Si, vabbè, ma quanno jelo dimo? – chiese il secondo – Mica adesso proprio che s’avvicina er Natale e le Feste?”
“Allora facciamo così – concluse il primo – lo facciamo direttamente dopo la Befana. Però oltre a noi tre ci devono stare tutti quelli che finora hanno avuto un ruolo. Deve essere un’assunzione di responsabilità completa e collettiva.”
“Vabbè”, “Okay”, condivisero gli altri due.

E fu così che qualche giorno dopo l’Epifania, fu convocata l’ufficiale conferenza stampa. Una cosa mai vista finora. Da Quarta Repubblica.
Tre Presidenti del Consiglio. Quattro Presidenti di Regione. Tre Commissari. Un Sottosegretario delegato.

“Cari cittadini del Cratere – esordì il primo – come Portavoce dei presenti, sta a me l’onere e l’onore di dirvi, a nome di tutti, e condiviso da tutti, sia chiaro, quanto segue. Sono passati oltre due anni, e riteniamo giusto raccontarvi fino in fondo la verità, perché possiate una volta per tutte farvene una ragione e mettervi il cuore in pace. Spiegando anche le ragioni di quello che tutti assieme abbiamo fatto finora. E la verità, come la storia ci insegna, è sempre molto semplice. La Ricostruzione non ci sarà. Ecco tutto. Sarebbe inutile, e poco onesto e corretto, che continuiamo a portarvi in giro. Alimentando aspettative, e generando ancora conseguenti delusioni. Abbiamo ancora le baracche in Belice, abitate e pure con l’amianto; opere finanziate e mai completate in Irpinia; a L’Aquila ancora è quello che è; in Emilia ci sono ancora diverse migliaia di persone senza casa, però almeno lì, che si sappia, i capannoni li abbiamo rifatti tutti, anche dove prima del terremoto non c’erano. Questa è la situazione in Italia. E voi pensate per davvero che noi ci potremmo occupare concretamente del post terremoto vostro? Uno statista, come diceva uno anni fa, non pensa all’oggi, ma progetta già il domani. E noi, ci stiamo occupando già da ora del terremoto che deve ancora arrivare. Questo è il compito di una vera classe dirigente italiana. Degli affari che esso potrà muovere e sviluppare. Che potranno ancor meglio far viaggiare la locomotiva Italia. Noi, per voi, che poi non siete manco tanti a potenziale elettorale, diciamocela tutta, abbiamo fatto già molto. Molto di più che nel passato per i vostri connazionali. Vi abbiamo portato via un po’ di macerie. Vi abbiamo fatto le casette. Ci sono costate a metro quadro più che le case vere. E se si fradicia un pavimento, se l’umidità ci fa spuntare dentro qualche fungo, che volete che sia. Un po’ di manutenzione periodica e si risolve. Che poi significa anche continuitàoccupazionale, no? Sono due anni che vi manteniamo con il CAS. Milleottocento e passa di voi sono ancora in villeggiatura sugli alberghi al mare. Altro che la pacchia è finita… (secondo, terzo e badante uno lo fulminano con lo sguardo) No, scusate, una battuta per alleggerire, m’è scappata. Comunque, però, che volete di più? E tutto questo sappiatelo, ha già smosso quell’economia che a noi sta più a cuore. Movimento terra a tutto andare, sbancamenti, gettate, consorzi che hanno realizzato, imprese che hanno dato lavoro (e anche in nero, quando è stato indispensabile), consorterie che hanno trovato nuova linfa. E poi vi abbiamo fatto il Deltaplano a Castelluccio, quello è indispensabile per il turismo, a che serve ricostruire un paese per otto famiglie? Abbiamo speso più di due milioni di euro per riaprire la Grotta sudatoria nel Piceno anche se non è stata lesionata, vi faremo le piste ciclabili, c’avete pure i concerti di Risorgimarche gratis; e non è che ci costino poco. Abbiamo comprato per voi, a spese dello Stato, da banche fallite e costruttori sul lastrico, nuovissimi appartamenti invenduti, in pianura e sulla costa. E poi il condono, per primo per Ischia. Vi pare niente tutto questo!? Ma perché insistete così tanto a voler restare sull’Appennino? Ma chi ve lo fa fare a voler tornare in quei posti sperduti dimenticati da Dio? In quei paesi sgarrrupati dove è freddo pure d’estate? Ma trasferitevi sulla costa, in pianura, nelle grandi città. E lì lasciateci, se proprio si rifiutano di far altro, quei pochi anziani e qualche perditempo nostalgico. Nelle casette, tempo qualche anno, ci resteranno giusto loro. Come pensate di stare in quei box di plastica, senza un negozio, un bar, uno spazio di socialità intorno? Con l’ospedale più vicino ad oltre un’ora di macchina? E non penserete mica che i nostri giovani dovranno arrivare fino su quei monti per studiare? Come 683 anni fa? Adesso che non c’è più manco la cittadina? Costa troppo, e di Università in Italia ce ne sono già troppe. Dobbiamo razionalizzare, ce lo chiede pure l’Europa, lo sapete. Se ve ne andrete definitivamente, ci darete una mano. Un contributo all’interesse nazionale. A noi l’Appennino serve. Vuoto e spopolato, però. Ci dobbiamo far passare il gasdotto della Snam, fare gli eliporti, i villaggi vacanze per i ricchi, con tutti i confort necessari: centri commerciali, campi da golf, parchi acquatici per le moto d’acqua, aziende faunistiche private per poter cacciare liberamente, itinerari trend per i Camminatori dello Spirito, progettati dalle fondazioni private. E grazie a queste, sempre, finalmente, una vera agricoltura e zootecnia industriale intensiva. Piantagioni sterminate di nocciole e stalle con almeno mille vacche nutrici. Così si aumenta il PIL dell’Appennino, mica con i pascoli e i prodotti autoctoni. E poi, dobbiamo fare nuove strade: pedemontane, intervallive, che consentano di far arrivare in fretta sulla costa i turisti, saltando tutte quelle curve, quei paesi diroccati che oramai sono solo un pessimo biglietto da visita del sistema Paese. Ci sarà di nuovo lavoro per le grandi imprese di costruzioni. Insomma, cari italiani del Cratere del Centro Italia, tutto questo, se voi insistete a resistere, non sarà possibile. Con voi lì, e qualche Sindaco un po’ matto, che non si accontenta neanche di essere eletto in Parlamento, che mette i bastoni tra le ruote, a fare tutto questo ci metteremmo troppo tempo. Vi chiediamo rassegnazione, ne siamo consapevoli. Ma anche responsabilità. Di mettere da parte un vostro interesse particolare, per quello più generale della Nazione. Di questo, sappiate, non solo noi, ma tutti gli altri italiani, ve ne saranno grati. E infine, poi…”

…poi un sussulto, ansioso. Sudato. Sono sveglio. Laura dorme, meno male. Era un sogno. Un incubo. La cena pesante, ieri; quel bicchiere di troppo. Sollievo. Per fortuna. Nella realtà non è così. Non sarà così che andranno le cose. Ho visto, in questi due anni; toccato con mano. E’ proprio tutto il contrario. Bene. Mi posso riaddormentare, che fra non molto suona la sveglia sul cellulare.