lunedì 26 agosto 2019

GOOD MORNING, CENTROITALIA EARTHQUAKE!


“La guerra alla Strategia dell’Abbandono è finita. L’Abbandono ha vinto”. Si potrebbe, nel fare un bilancio di questi tre anni, parafrasare così un pensiero del repubblicano Ronald Reagan, che ebbe ad affermare nel 1988, seppur in tutt’altro contesto, “La guerra alla povertà è terminata. La povertà ha vinto.”; concludendo anch’egli anni dopo, un pronunciamento del 1964 del Presidente democratico Lyndon Johnson. E già, la situazione a tre anni dal terremoto senza toponimo, definito vagamente in termini areali “del Centro Italia”, appare inequivocabile. Questo non solo perché ci sono ancora cinquantamila persone fuori di casa, ottocentomila tonnellate di macerie ancora sul posto, un’idea di ricostruzione ferma a poche decine di pratiche edilizie presentate, la certezza che diversi paesi non saranno mai ricostruiti. Ma soprattutto perché, riguardo ad un processo già in atto da tempo sull’Appennino, di progressivo abbandono di carattere demografico, politico, sociale, economico, il terremoto ha completato, anticipando i tempi, il lavoro “sporco” di altri. La politica nazionale, tutta ed eterogenea, tre governi con in gestazione il quarto, insieme alle dinamiche istituzionali regionali, ha fatto al meglio la propria parte. Si, possiamo constatare, oltre ogni frase ad effetto e slogan, che stavolta li hanno lasciati soli per davvero. A parte visite e sopralluoghi di rito, in occasione di anniversari, campagne elettorali, cambi di governi e commissari, poi le popolazioni sono rimaste sole in compagnia di un impianto normativo spaventoso ed irriformabile, e prigioniere di una burocrazia che, dopo poco tempo, sfiancherebbe anche il professionista più abile e paziente. Al contrario, invece, la volontà e la mediocrità delle attuali classi dirigenti, ha favorito il veloce planare sull’Appennino dei soliti rapaci e voraci predatori del caso. Pronti a spolparsi il poco che resta, della qualità, delle risorse e della storia, di un territorio e del suo paesaggio. Già a pochi mesi dalle catastrofiche scosse, la Magistratura, obtorto collo, è dovuta subito entrare in azione, per indagare sulle ipotesi di reato più classiche in queste situazioni; con la novità, rispetto ad altri casi, del caporalato e del lavoro nero.  Ma i segnali di ciò che sarebbe avvenuto c’erano tutti, sin dall’inizio. Il prolungarsi dello Stato di Emergenza (scade il prossimo 31 dicembre), che ha sì nell’immediato messo in sicurezza e popolazioni, ma ha consentito lo smembramento e l’allontanamento definitivo di gran parte delle comunità dei paesi colpiti; i ritorni nei villaggi SAE, molti mesi dopo, ci danno dati che in diversi casi, ha visto dimezzarsi la popolazione residente. La scelta sciagurata, almeno nella Regione Marche, di voler risolvere i problemi acquistando nuove abitazioni, rilevate spesso dall’invenduto della bolla immobiliare marchigiana, e da acquisizioni fallimentari di banche, per trasformarle in abitazioni di edilizia popolare pubblica per i terremotati; ubicate perlopiù fuori cratere. Il fatto emblematico che a Castelluccio di Norcia prima si sia in poco più di un anno costruito un centro commerciale, il Deltaplano, e solo poi consegnate agli abitanti del paese distrutto, la ridicola quantità di otto casette di plastica solo qualche mese fa. I villaggi SAE, che aldilà della qualità strutturale e dell’inusitato consumo di suolo, realizzati senza alcun spazio di socialità, di relazione, di incontro. Box dormitorio senza servizi, tipici dei campi profughi, nei quali da qui a poco tempo rimarranno solo gli anziani e i più poveri. La resurrezione, più propria di un film di Romero che delle Sacre Scritture, altro che i concerti sui prati di RisorgiMarche, di vecchi e bolliti gruppi industriali del capitalismo oligarchico marchigiano, che sotto il caritatevole abito delle fondazioni di ogni tipo, hanno aperto le porte alle multinazionali dell’agrifood sui territori colpiti: Ferrero, Loacker, Granarolo, Cremonini, solo per fare qualche nome. Con il plauso, accucciolato e devoto, della politica, ma anche di associazioni di categoria. Operazioni queste, che dal punto di vista etico, non hanno nulla di differente da quello che Bolsonaro sta facendo per le cricche mondiali delle bistecche in Amazzonia. La improbabile ed impossibile riconversione al turismo di massa, modello Disneyland appenninica, di un territorio vocato da sempre ad un certo tipo di agricoltura e pastorizia, ed al manifatturiero; con iniziative e processi che stanno convogliando e sprecando fiumi di denaro pubblico. O meglio, destinato alle solite saccocce dei cerchi magici dell’imprenditoria culturale regionale, da tempo un po’ sofferenti. Questo e molto altro, che per brevità tralascio, conferma che se un terremoto è un dramma ed una sciagura per chi ne è vittima, per molti è come il biglietto vincente del SuperEnalotto, la sestina supermiliardaria che esce dopo anni. Ma, come nel gioco d’azzardo statale, nel caso del post terremoto, non c’è solamente quello che fa “sei”; ma anche tanti che fanno un modesto “due” o addirittura “1 + superstar”. E, lo penso con profonda amarezza ma con consapevole realismo, è questa moltitudine di piccoli e mediocri occasionali vincitori, per restare all’esempio della lotteria, che ha consentito, anche questa volta, di lasciare alla Strategia dell’Abbandono di calciare l’ennesimo rigore a porta vuota. Da quello che si inventa ad hoc il progettino turistico solidale, al terremotato fuori cratere che percepisce da tre anni il CAS e fa finta di essersi traferito da un’altra parte, ma sta sempre nella casa inagibile, fino al sindaco del paese di qualche centinaio di abitanti, che grazie al terremoto fa un’impensabile carriera politica; e un’infinità di molte altre piccole furbizie che vedono accumunati finti terremotati e cittadini senza problemi. In questi tre anni, a dire il vero però, ci sono state e ci sono, belle, significative e disinteressate esperienze di resistenza e contrasto alla Strategia dell’Abbandono, da parte di movimenti di base, associazionismo locale, singole persone; ma tutte risultano essere marginali e minoritarie, soffocate dalle gran casse social e media dei megafoni istituzionali e politici. Esperienze e persone additati subito provocatoriamente come haters, “populisti” e “gentaccia”, per quanto hanno provato a fare, e a raccontare una storia diversa da quella istituzionale e commerciale. E’ mancato purtroppo, in conseguenza della tragedia, quello scatto in avanti che poteva delineare per questa parte di Appennino, un modello nuovo e diverso di vita e lavoro su questo territorio; partendo dalle radici e da vocazioni storiche, elaborandole ed innovandole, in armonia con il territorio e con il paesaggio, mischiandole con nuovi saperi e tecnologie, e con nuove forme di cittadinanza e di residenzialità. Ma per questo sarebbe servito un percorso corale, partecipato, dialettico, in cui la politica avrebbe dovuto avere lo spessore e la volontà per guardare al di là delle cabine elettorali e delle singole carriere, sapendo guidare una popolazione sofferente, lacerata e incerta sul futuro, ma in gran parte ancora tenace e disponibile ai sacrifici. Invece, la verticalità e l’esclusività delle decisioni, un’applicazione pecoreccia dei “pieni poteri”, assieme alle ambizioni, furbizie, egoismi, e in alcuni casi aderenze col malaffare, della politica nazionale e locale, li ha con premeditazione lasciati soli, al tutti contro tutti, al si salvi chi può, al giorno per giorno, alla mercè e ai ricatti di miserabili pretoriani politici di caseggiato, a sindaci spesso mediocri, dai comportamenti tipici dei Raì's di periferia. E’ mancato, collettivamente, nella politica e non solo, quel “senso morale” che può tenere la barra a dritta nelle situazioni apocalittiche, evocato dal protagonista di “Cuore di tenebra”.  La partita, a mio avviso, dopo tre anni, può definirsi conclusa. Senza macth  di ritorno, e senza rivincite. Un vero peccato, per la bellezza di questi territori e per la generosità e coraggio di gran parte dei suoi abitanti. Agli haters e alla “gentaccia”, e a tutti quelli che hanno perduto il campionato, e che restano qui sull’Appennino, rimane, come in tutte le vicende resistenziali, oltre che il dovere della narrazione e della denuncia, l’azione di incursione e il sabotaggio. La Strategia dell’Abbandono è già pronta ed iniziare un nuovo campionato da qualche altra parte. La storia sismologica dell’Italia, e la fragilità geomorfologica del territorio nazionale, ci insegna che è solo questione di tempo. Se all’alba di quel mattino del 24 agosto di tre anni fa, avessimo avuto tutti, ma proprio tutti, comune coscienza e consapevolezza, come scriveva Michele, un caro amico, sul suo profilo facebook poche ore dopo la scossa 6.0, che “quando di notte la terra si muove intensamente, all’alba ti ricordi meglio che sei suo ospite, talvolta custode quando concesso, ma di certo non padrone o proprietario”, forse la partita sarebbe finita, per la prima volta, diversamente.



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