lunedì 21 luglio 2025

GENOVA PER LORO

“Avevamo ragione noi”. Trovo molto fastidioso l'utilizzo di questa frase, in questi giorni in cui al di là del mainstream, si riesce nonostante tutto, a ricordare i fatti del G8 di Genova del 2001 (24 anni, una generazione fa)

Chi ha più di 50 anni dovrebbe esimersi dall’utilizzarla. A meno che non sia una vittima di quella violenza. Tanto più se dal 2001 in poi ha avuto ruoli decisori nella società o di direzione politica, nazionale o territoriale.

 

La storia, ci piaccia o meno, ci insegna che ha ragione chi vince. 

 

E a Genova, e dagli anni successivi, hanno vinto gli altri. Quello che accade ora in Italia e nel mondo, è la palese dimostrazione. 

 

Chi ha sparato, prendendo bene la mira, a Carlo Giuliani, massacrato di botte e torturato persone inermi, ha trovato la solidarietà e il sostegno dello Stato silenzioso; quello che conta, che decide, il più delle volte anche e al posto della politica. Anzi, molti di quanti in quei giorni ebbero ruoli decisori ed esecutivi, hanno fatto carriera, sono stati promossi, persino risarciti. Uno dei funzionari di polizia condannato per il massacro della Diaz, qualche settimana fa è stato nominato questore di Monza. 

 

Gianni De Gennaro, allora Capo della Polizia, è stato sottosegretario con il governo Monti e presidente di Leonardo s.p.a. per sette anni, nominato dal Governo Letta e confermato da Renzi. 

 

Ricordo in quei giorni di grande paura e turbamento un’importante intervento di Massimo D’Alema alla Camera, molto duro verso il governo Berlusconi che, con Fini vicepresidente del Consiglio, ordinò la mattanza. 


Quella classe dirigente del centrosinistra di allora, assieme all'ininfluente galassia della sinistra radicale, ha accompagnato in anni di fallimenti e complicità l’Italia dall’essere una democrazia, al diventare la democratura di oggi. 

 

Lui stesso, D’Alema, ultrasettantenne, in questi anni fa il lobbista in Albania e si è trovato a facilitare una compravendita di armi e mezzi militari tra Italia e Colombia. 

Veltroni, quello che ha distrutto definitivamente quel poco di sinistra che c’era in Italia, dando vita al più grosso bluff politico del secolo scorso, il PD, ci ammorba da anni con libri, film e reading teatrali, colmando così, anche lui settantenne, la vocazione dalla giovinezza. 

Fassino, se potesse, entrerebbe a Gaza con il lanciafiamme alla testa dell’IDF. 

 

Gli ultracinquantenni che scrivono “avevamo ragione noi” sono (siamo) quelli che a livello civile e politico non sono riusciti a far nulla in questi 24 anni; se non, per tanti, i cazzi propri. 

 

Se li sono fatti alla grande per primi i capi di Stato progressisti che parteciparono al G8 di Genova: Gerard Schröder da anni fa il lobbista con gli oligarchi putiniani del gas; Tony Blair è coinvolto nel tavolo di lavoro trumpiano per la trasformazione di Gaza in un mega resort per ricchi. 

 

La segretaria del PD ieri, anziché andare a Piazza Alimonda, è andata alla festa de l’Unità a Sant’ Ilario d’Enza. 

 

Non si può andare a Marzabotto e non andare a Piazza Alimonda. Altrimenti la memoria è solamente rituale; o oramai, considerato il tempo passato, solo letteraria o storiografica. Se vuole essere pedagogia, la memoria deve rigenerarsi a Piazza Alimonda come a Cutro, perché i mandanti e gli esecutori di queste recenti stragi, sono gli eredi e prosecutori politici, a volte anche i consanguinei, dei boia di Marzabotto. 

 

Da tempo, grazie a questa parabola vertiginosamente discendente, in Italia siamo tutti in una morsa repressiva e securitaria di cui non riusciamo più neanche a rendercene conto. Sorvegliati, identificati, spiati (i primi a riempire la città di videocamere sono i sindaci di centrosinistra); il decreto sicurezza, incostituzionale, farà arrestare anche gli studenti che si siederanno per un sit-in davanti la scuola. Siamo in una situazione di promozione e diffusione di uno stato militare talmente avanzata, che oramai i centri estivi i Comuni, anziché organizzarli con la collaborazione educativa del parroco, li promuovono assieme ai carabinieri. 

 

Io direi che forse è meglio, che a decidere su chi avesse ragione 24 anni fa, fossero quelli che erano nati da poco, stavano nascendo e sono nati dopo. Che, grazie all'accesso alle informazioni, sanno meglio e più dei padri e dei nonni quello che accadde. 

 

Anche perché la merda che gli lasciamo da gestire, la dovranno rimestare loro. 



 

giovedì 10 luglio 2025

NELLE MARCHE LO SPOPOLAMENTO E’ UN FENOMENO IRREVERSIBILE

 

E’ stato presentato ad Ancona lo scorso 26 giugno “L’Osservatorio sull’economia dei Comuni marchigiani”, prodotto dalla Federazione marchigiana BCC-Credito Cooperativo, Cna e Confartigianato Marche. Il lavoro statistico, fatto tramite la rielaborazione di dati ISTAT, analizza i quelli relativi alla demografia, all’economia e al credito sui territori, ai distretti e ad ognuno dei 225 Comuni marchigiani. Tra i molti numeri offerti per guardare in maniera oggettiva e razionale alla nostra Regione, sicuramente i più interessanti sono quelli demografici. Che ci offrono un quadro allarmante, non certo nuovo, sull’andamento della popolazione marchigiana. I residenti marchigiani sono 1.482.746, 37.575 in meno rispetto al 2019. I Comuni con una popolazione in calo sono 149.  Gli over 60 sono 498.120, in crescita di 20.692 unità e rappresentano il 33,6 per cento dei residenti. Gli under 30 marchigiani sono 402.008, in calo di 22.441 unità e rappresentano il 27,1 per cento dei residenti. Guardando a questi dati con la lente di ingrandimento, la provincia che negli ultimi sei anni ha perso più abitanti è stata Macerata, seguita da Fermo e da Ascoli Piceno; Ancona quella che ha avuto l’emorragia minore, seguita da Pesaro. Rispetto alla percentuale sulla popolazione degli over 60, nei Comuni di Castelsantangelo sul Nera e Montegallo, questa supera il 50 per cento; mentre i Comuni ‘meno anziani’ sono Montelabbate, Tavullia e Camerata Picena. Analizzando invece la presenza di under 30, le province ‘più giovani’ sono Pesaro Urbino e Ancona, ultima Ascoli Piceno; in generale nelle Marche, rispetto alla media nazionale (28,3%), gli under 30 sono l’1,2 per cento in meno. A livello comunale sono 53 i comuni che hanno una quota di under 30 superiore alla media italiana, con le performance migliori a Lunano (33,3%) e Montelabbate (33,2%); al contrario, ci sono 10 comuni che si attestano al di sotto del 20%, con la performance peggiore a Castelsantangelo sul Nera con il 10,9 per cento. Un dato che lo studio presentato non contiene, ma di cui disponiamo autonomamente, è la fuga dalla regione degli under 40: tra il 2020 e il 2021, sono stati 15.517 i marchigiani più giovani che si sono trasferiti definitivamente all’estero o in un’altra regione (come se fosse scomparsa una città come Porto San Giorgio). Mentre nel solo 2024, ben 2.609 giovani laureati marchigiani si sono trasferiti all’estero o in altre regioni (come se fosse sparito un Comune come Serra S. Quirico). Da questi dati demografici poi si capisce anche, e lo studio lo evidenzia fornendo cifre, come anche l’economia marchigiana e il sistema dei servizi siano in forte sofferenza: il commercio ha perso 7.225 imprese e 3.475 addetti (in provincia di Ancona il calo maggiore nel capoluogo, a Jesi e Fabriano).  Nel manifatturiero le imprese sono diminuite in dieci anni di 3.932 unità mentre gli addetti sono stati 5.493 in più. Tra i settori manifatturieri la crisi ha colpito soprattutto il distretto della moda e il calzaturiero, che in dieci anni ha perso 1.292 imprese e 6.811 addetti. I Comuni senza sportelli bancari sono saliti a 79. Il dato demografico della distribuzione della popolazione sul territorio marchigiano, estremamente allarmate per i territori interni, non è però frutto della malasorte, ma il risultato di politiche mirate che nel corso degli ultimi quindici anni hanno favorito ed accelerato lo spopolamento. Portate avanti da governi nazionali e regionali di ogni appartenenza. In cui la tragedia dei sismi del 2016, è stata semplicemente un facilitatore esterno di una vera e propria “Strategia dell’abbandono”. I dati dello studio presentato nel capoluogo dorico ci confermano come, al di là di una comunicazione mainstream ad uso propagandistico, la ricostruzione delle aree colpite dal sisma sia ancora pressoché al palo; se anziché leggere le notizie sui social si facesse un giro tra le comunità colpite, dopo 9 anni si avrebbe ben chiaro lo stato delle cose. La situazione dello spopolamento nelle Marche è un fenomeno strutturale talmente sedimentato, che non saranno certo le proposte, alcune francamente ridicole, che si stanno già ascoltando dai vari schieramenti nell’approssimarsi della campagna elettorale, a risolvere la questione: dalla flat tax area per i ricchi pensionati stranieri che si trasferiranno a vivere nei Comuni del cratere sismico, fino al bonus di 30.000 € per le giovani coppie che andranno a vivere nei piccoli centri delle aree interne. Per riportare gli abitanti in queste zone delle Marche servono piani (e fondi) decennali che riguardano le politiche abitative, del lavoro, della salute, dell’istruzione, dei trasporti, dell’ambiente (tutti settori che, al contrario, sono stati progressivamente ridotti allo stremo); e vanno fatti anche i conti con un nuovo protagonista della scena: il collasso ecoclimatico, e di conseguenza la messa in sicurezza e la salvaguardia geomorfologica del territorio. Ma per fare tutto questo oltre la volontà politica, serve anche il tempo; e molto probabilmente quest’ultimo è scaduto, il processo è irreversibile. Perché, negli ultimi 15 anni, nelle Marche, la politica ha lavorato ed investito esclusivamente perché nelle aree interne arrivassero solamente i turisti. Bene, paradossalmente, ha fatto quindi il governo Meloni, a scrivere nel nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne, all’obiettivo 4 “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”: “Un numero non trascurabile di aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con un accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. C’è solo un piccolo problema: che queste politiche che favoriscono l’ammassarsi di persone nei grandi centri o sulla costa, non fanno i conti con il fatto che le città sono da anni in overbooking demografico, e che con la catastrofe climatica, di qui a pochi anni in Italia, di aree costiere ce ne saranno molte meno.