E’ stato presentato ad Ancona lo scorso 26 giugno
“L’Osservatorio sull’economia dei Comuni marchigiani”, prodotto dalla
Federazione marchigiana BCC-Credito Cooperativo, Cna e Confartigianato Marche.
Il lavoro statistico, fatto tramite la rielaborazione di dati ISTAT, analizza i
quelli relativi alla demografia, all’economia e al credito sui territori, ai
distretti e ad ognuno dei 225 Comuni marchigiani. Tra i molti numeri offerti
per guardare in maniera oggettiva e razionale alla nostra Regione, sicuramente i
più interessanti sono quelli demografici. Che ci offrono un quadro allarmante,
non certo nuovo, sull’andamento della popolazione marchigiana. I residenti
marchigiani sono 1.482.746, 37.575 in meno rispetto al 2019. I Comuni con una
popolazione in calo sono 149. Gli over
60 sono 498.120, in crescita di 20.692 unità e rappresentano il 33,6 per cento
dei residenti. Gli under 30 marchigiani sono 402.008, in calo di 22.441 unità e
rappresentano il 27,1 per cento dei residenti. Guardando a questi dati con la
lente di ingrandimento, la provincia che negli ultimi sei anni ha perso più
abitanti è stata Macerata, seguita da Fermo e da Ascoli Piceno; Ancona quella
che ha avuto l’emorragia minore, seguita da Pesaro. Rispetto alla percentuale
sulla popolazione degli over 60, nei Comuni di Castelsantangelo sul Nera e
Montegallo, questa supera il 50 per cento; mentre i Comuni ‘meno anziani’ sono
Montelabbate, Tavullia e Camerata Picena. Analizzando invece la presenza di
under 30, le province ‘più giovani’ sono Pesaro Urbino e Ancona, ultima Ascoli
Piceno; in generale nelle Marche, rispetto alla media nazionale (28,3%), gli
under 30 sono l’1,2 per cento in meno. A
livello comunale sono 53 i comuni che hanno una quota di under 30 superiore
alla media italiana, con le performance migliori a Lunano (33,3%) e
Montelabbate (33,2%); al contrario, ci sono 10 comuni che si attestano al di
sotto del 20%, con la performance peggiore a Castelsantangelo sul Nera con il
10,9 per cento. Un dato che lo studio presentato non contiene, ma di cui
disponiamo autonomamente, è la fuga dalla regione degli under 40: tra il 2020 e
il 2021, sono stati 15.517 i marchigiani più giovani che si sono trasferiti
definitivamente all’estero o in un’altra regione (come se fosse scomparsa una
città come Porto San Giorgio). Mentre nel solo 2024, ben 2.609 giovani laureati
marchigiani si sono trasferiti all’estero o in altre regioni (come se fosse
sparito un Comune come Serra S. Quirico). Da questi dati demografici poi si
capisce anche, e lo studio lo evidenzia fornendo cifre, come anche l’economia
marchigiana e il sistema dei servizi siano in forte sofferenza: il
commercio ha perso 7.225 imprese e 3.475 addetti (in provincia di Ancona il
calo maggiore nel capoluogo, a Jesi e Fabriano). Nel manifatturiero le imprese sono diminuite
in dieci anni di 3.932 unità mentre gli addetti sono stati 5.493 in più. Tra i
settori manifatturieri la crisi ha colpito soprattutto il distretto della moda
e il calzaturiero, che in dieci anni ha perso 1.292 imprese e 6.811 addetti. I Comuni senza sportelli bancari sono
saliti a 79. Il dato demografico della
distribuzione della popolazione sul territorio marchigiano, estremamente
allarmate per i territori interni, non è però frutto della malasorte, ma il
risultato di politiche mirate che nel corso degli ultimi quindici anni hanno
favorito ed accelerato lo spopolamento. Portate avanti da governi nazionali e
regionali di ogni appartenenza. In cui la tragedia dei sismi del 2016, è stata
semplicemente un facilitatore esterno di una vera e propria “Strategia
dell’abbandono”. I dati dello studio presentato nel capoluogo dorico ci
confermano come, al di là di una comunicazione mainstream ad uso propagandistico,
la ricostruzione delle aree colpite dal sisma sia ancora pressoché al palo; se
anziché leggere le notizie sui social si facesse un giro tra le comunità
colpite, dopo 9 anni si avrebbe ben chiaro lo stato delle cose. La situazione
dello spopolamento nelle Marche è un fenomeno strutturale talmente sedimentato,
che non saranno certo le proposte, alcune francamente ridicole, che si stanno
già ascoltando dai vari schieramenti nell’approssimarsi della campagna
elettorale, a risolvere la questione: dalla flat tax area per i ricchi
pensionati stranieri che si trasferiranno a vivere nei Comuni del cratere
sismico, fino al bonus di 30.000 € per le giovani coppie che andranno a vivere
nei piccoli centri delle aree interne. Per riportare gli abitanti in queste
zone delle Marche servono piani (e fondi) decennali che riguardano le politiche
abitative, del lavoro, della salute, dell’istruzione, dei trasporti,
dell’ambiente (tutti settori che, al contrario, sono stati progressivamente
ridotti allo stremo); e vanno fatti anche i conti con un nuovo protagonista
della scena: il collasso ecoclimatico, e di conseguenza la messa in sicurezza e
la salvaguardia geomorfologica del territorio. Ma per fare tutto questo oltre
la volontà politica, serve anche il tempo; e molto probabilmente quest’ultimo è
scaduto, il processo è irreversibile. Perché, negli ultimi 15 anni, nelle
Marche, la politica ha lavorato ed investito esclusivamente perché nelle aree
interne arrivassero solamente i turisti. Bene, paradossalmente, ha fatto quindi
il governo Meloni, a scrivere nel nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne,
all’obiettivo 4 “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”:
“Un numero non trascurabile di aree interne si trova già con una struttura
demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino,
con un accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni)
oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di
attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di
tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno
di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato
declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi
ancora vi abita”. C’è solo un piccolo problema: che queste politiche che
favoriscono l’ammassarsi di persone nei grandi centri o sulla costa, non fanno
i conti con il fatto che le città sono da anni in overbooking demografico, e
che con la catastrofe climatica, di qui a pochi anni in Italia, di aree
costiere ce ne saranno molte meno.
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