La macchina rossa era di
Enzo; sopra la macchina c’è, crollata, la casa di Enzo. Avevo letto di Enzo i
giorni scorsi, la sua scelta di rimanere l’unico abitante dentro il paese
disintegrato dal terremoto di Pescara del Tronto mi aveva colpito. Poi una
serie di concomitanze hanno fatto si che con Enzo ci siamo incontrati e conosciuti;
forse, per certi imperscrutabili aspetti, riconosciuti. “Lui fuori dalla zona
rossa non ci viene – mi hanno detto – bisogna che vieni giù tu”. “Ma a me –
avevo ribattuto – dentro la zona rossa non mi ci fanno entrare”. Poi il
compromesso, ci incontriamo in una sorta di striscia interterritoriale, subito oltre il confine della zona rossa. Ci
conosciamo lì, proprio davanti la sua macchina rossa sfondata dalle macerie. Mi
sento ridicolo con il caschetto giallo modello pupazzetto Toys, non tanto
per ragioni estetiche; mi interrogo da cosa dovrebbe rendermi incolume quel
pezzo di plastica se ci fosse un pericolo vero e serio. Enzo mi racconta un po’
di sé, che vive lì da più di vent’anni, che il padre era di Pescara, ma che lui
è nato e vissuto a Roma, per poi scegliere di venire a vivere in quella casa
delle radici familiari. Enzo non se ne andrà da Pescara, non lo ha fatto dalla
notte della catastrofe sismica, non lo farà in seguito. I primi giorni ha
dormito sopra una tettoia all’aperto, poi i ragazzi del GUS gli hanno portato
una tenda, e gli continuano a portare i pasti, perché lui da lì non esce, come
se uscendo dalla zona rossa temesse che trovano il modo di fregarlo e non farlo rientrare
più. Gli hanno offerto in dono una roulotte per l’arrivo della stagione fredda,
ma è stato detto ai benefattori che non è possibile procedere al dono, perché si
creerebbe un precedente. Enzo mi racconta che ha dato una mano fondamentale nelle
ore immediate alla tragedia, consentendo di tirare fuori in poche ore sia i
vivi che i morti; si, perché lui sapeva quali erano, tra tutte, le case abitate
quella notte, e chi c’era in ogni casa. Poi mi dice anche che lui sta lì non
per protesta, ma perché ha da fare delle proposte. E che ha un sacco di cose da
raccontare. Gli dico che mi interessa ascoltarlo e che torno; mi lascia il suo
numero di telefono. Chi è Enzo? Il suonato del paese, come è semplicistico
pensare, o la testimonianza di qualcos’altro di più profondo, significativo,
che ci mette di fronte a verità rimosse o sconosciute? Ogni terremoto, con il
suo carico di tragedia e di dolore, per molti, purtroppo, è l’occasione per
prendere atto di un fatto, o di fare una scoperta: che su per quelle montagne non ci
sono solo i turisti, gli escursionisti, i villeggianti estivi a cui è rimasta
la casa della nonna o dello zio; no, pensate, che su per quelle montagne, c’è
gente che ci vive sempre, che ci lavora, ci sono bambini che nascono, che vanno
a scuola e che diventano grandi. C’è gente che lì ha scelto di vivere e che,
incredibilmente, è felice di viverci per tutta la vita; e che neanche adesso
che il terremoto gli ha portato via tutto, se ne vuole andare. Strana la gente…
Nelle città si sta meglio, più sicuri, ci sono tutte le comodità; perché ricostruirgli
il paese spianato dal sisma, sarebbe tanto meglio per loro che lo Stato gli ricostruisse una nuova e
migliore vita in città… Però dal lavoro e dall’economia di quelle montagne, ci
piace riempirci borse della spesa e imbandirci tavole per la nostra
convivialità, anche per la nostra sempre più mirata ricerca di una maggior sana
alimentazione. Ma quella roba si fa lassù, in cima all’appennino, è lassù che
il lavoro di chi vive consente di ottenere beni non riproducibili e delocalizzabili.
E allora se facciamo l’amatriciana solidale, è un po’ una presa per il culo
farla con i prodotti comprati all’ipermercato; forse è più solidale se troviamo
il modo di comprare gli arrosticini che anche in questi giorni con la casa
crollata, ma con la macelleria più o meno stabile, continua a preparare e a
vendere l’allevatore-macellaio del paesello. Perché se gli arrosticini e gli
altri prodotti di un duro lavoro su quei monti, non glieli compra più nessuno, perché
il paese non c’è più e fra un po’, passata l’emergenza e sgomberate le tende,
non ci faranno spesa più neanche i vigili del fuoco, lui con l’amatriciana
solidale non ci fa un cazzo; tra qualche settimana, arrivato l’inverno, chiude
bottega. Enzo mi deve raccontare un sacco di cose; “devo parlarti – mi dice
salutandomi – della cava qui dietro il paese, del cemento che c’era qui, della fonte dell’acqua, e
ti devo dire delle proposte”. “Ok – gli dico – mi organizzo e tra qualche
giorno ritorno. E tu lo sai che ritorno. Vedi di farti trovare qui dentro, a
Pescara del Tronto”
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