domenica 25 settembre 2016

ENZO ABITA QUI

La macchina rossa era di Enzo; sopra la macchina c’è, crollata, la casa di Enzo. Avevo letto di Enzo i giorni scorsi, la sua scelta di rimanere l’unico abitante dentro il paese disintegrato dal terremoto di Pescara del Tronto mi aveva colpito. Poi una serie di concomitanze hanno fatto si che con Enzo ci siamo incontrati e conosciuti; forse, per certi imperscrutabili  aspetti, riconosciuti. “Lui fuori dalla zona rossa non ci viene – mi hanno detto – bisogna che vieni giù tu”. “Ma a me – avevo ribattuto – dentro la zona rossa non mi ci fanno entrare”. Poi il compromesso, ci incontriamo in una sorta di striscia interterritoriale, subito oltre il confine della zona rossa. Ci conosciamo lì, proprio davanti la sua macchina rossa sfondata dalle macerie. Mi sento ridicolo con il caschetto giallo modello pupazzetto Toys, non tanto per ragioni estetiche; mi interrogo da cosa dovrebbe rendermi incolume quel pezzo di plastica se ci fosse un pericolo vero e serio. Enzo mi racconta un po’ di sé, che vive lì da più di vent’anni, che il padre era di Pescara, ma che lui è nato e vissuto a Roma, per poi scegliere di venire a vivere in quella casa delle radici familiari. Enzo non se ne andrà da Pescara, non lo ha fatto dalla notte della catastrofe sismica, non lo farà in seguito. I primi giorni ha dormito sopra una tettoia all’aperto, poi i ragazzi del GUS gli hanno portato una tenda, e gli continuano a portare i pasti, perché lui da lì non esce, come se uscendo dalla zona rossa temesse che trovano il modo di fregarlo e non farlo rientrare più. Gli hanno offerto in dono una roulotte per l’arrivo della stagione fredda, ma è stato detto ai benefattori che non è possibile procedere al dono, perché si creerebbe un precedente. Enzo mi racconta che ha dato una mano fondamentale nelle ore immediate alla tragedia, consentendo di tirare fuori in poche ore sia i vivi che i morti; si, perché lui sapeva quali erano, tra tutte, le case abitate quella notte, e chi c’era in ogni casa. Poi mi dice anche che lui sta lì non per protesta, ma perché ha da fare delle proposte. E che ha un sacco di cose da raccontare. Gli dico che mi interessa ascoltarlo e che torno; mi lascia il suo numero di telefono. Chi è Enzo? Il suonato del paese, come è semplicistico pensare, o la testimonianza di qualcos’altro di più profondo, significativo, che ci mette di fronte a verità rimosse o sconosciute? Ogni terremoto, con il suo carico di tragedia e di dolore, per molti, purtroppo, è l’occasione per prendere atto di un fatto, o di fare una scoperta: che su per quelle montagne non ci sono solo i turisti, gli escursionisti, i villeggianti estivi a cui è rimasta la casa della nonna o dello zio; no, pensate, che su per quelle montagne, c’è gente che ci vive sempre, che ci lavora, ci sono bambini che nascono, che vanno a scuola e che diventano grandi. C’è gente che lì ha scelto di vivere e che, incredibilmente, è felice di viverci per tutta la vita; e che neanche adesso che il terremoto gli ha portato via tutto, se ne vuole andare. Strana la gente… Nelle città si sta meglio, più sicuri, ci sono tutte le comodità; perché ricostruirgli il paese spianato dal sisma, sarebbe tanto meglio per loro  che lo Stato gli ricostruisse una nuova e migliore vita in città… Però dal lavoro e dall’economia di quelle montagne, ci piace riempirci borse della spesa e imbandirci tavole per la nostra convivialità, anche per la nostra sempre più mirata ricerca di una maggior sana alimentazione. Ma quella roba si fa lassù, in cima all’appennino, è lassù che il lavoro di chi vive consente di ottenere beni non riproducibili e delocalizzabili. E allora se facciamo l’amatriciana solidale, è un po’ una presa per il culo farla con i prodotti comprati all’ipermercato; forse è più solidale se troviamo il modo di comprare gli arrosticini che anche in questi giorni con la casa crollata, ma con la macelleria più o meno stabile, continua a preparare e a vendere l’allevatore-macellaio del paesello. Perché se gli arrosticini e gli altri prodotti di un duro lavoro su quei monti, non glieli compra più nessuno, perché il paese non c’è più e fra un po’, passata l’emergenza e sgomberate le tende, non ci faranno spesa più neanche i vigili del fuoco, lui con l’amatriciana solidale non ci fa un cazzo; tra qualche settimana, arrivato l’inverno, chiude bottega. Enzo mi deve raccontare un sacco di cose; “devo parlarti – mi dice salutandomi – della cava qui dietro il paese, del cemento che c’era qui, della fonte dell’acqua, e ti devo dire delle proposte”. “Ok – gli dico – mi organizzo e tra qualche giorno ritorno. E tu lo sai che ritorno. Vedi di farti trovare qui dentro, a Pescara del Tronto”

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