L'apertura della 67° edizione del Festival di Sanremo, coincide per
me con la casuale lettura di un commento di un post su facebook di una signora (che
poi mi accorgo essere una compaesana), in cui l'autrice, rispettabilmente,
sosteneva che del terremoto bisogna parlarne il meno possibile, perché risulterebbe
essere deleterio per il turismo, causando ciò ripercussioni alla capacità di
attrazione di questa parte del territorio appenninico. Sono convinto al
contrario che mettere quello che è accaduto e sta accadendo sotto il tappeto,
anche questo rientra nella #strategiadellabbandono, nel caso specifico quella
“de noantri”. Come se eludere il fatto che ci siano stati anche qui sfollati e
persone assistite in hotel (vabbè, però alcuni sono albanesi…), prime e seconde
case inagibili, una strada indispensabile alla quotidianità, ancor prima che al
turismo, chiusa per più di tre mesi, la tentazione per diversi, anche i più
giovani, di andarsene, attività economiche che risentiranno pesantemente della
situazione, possa salvaguardare a prescindere la quotidianità e le potenzialità
economiche di questa zona, a spiccata vocazione turistica. Si fa così anche uno
sgarbo agli amministratori locali che con sensibilità si sono prodigati, per
quello che hanno potuto, per l'assistenza e per un ripristino della normalità
in tempi ragionevoli, considerato che l'hanno fatto con mezzi propri, visto che
questo Comune non fa parte del cratere (e qui, diciamocelo, diversi hanno fatto
un tifo operoso perché Genga non rientrasse nel cratere); e farne parte,
avrebbe significato per chi qui vive e lavora, per chi ha una attività
economica, oltre che per il patrimonio immobiliare, una serie di sostegni che
avrebbero compensato le comprensibili difficoltà di mesi che verranno. E lo
sostengo, forte del fatto che l’essere nel cratere, per me non avrebbe
comportato alcuna differenza (ho casa per fortuna sana, non ho qui la
residenza, non ho attività economiche in loco, non dipendo da aziende locali).
E invece, da un mio acquisito compaesano, che poi il 30 ottobre mattina magari
è pure venuto in macchina “a vedere che era successo qui a Falcioni”, e
c'ha visto sbiancati in volto e impauriti, mi sarebbe piaciuto leggere un
commento di questo tipo: "si, il terremoto qui c'è stato, eccome se c'è
stato, parliamone tutti assieme, facciamo una grande assemblea pubblica, dentro
quella palestra che il sindaco per la notte del 30 ottobre ha fatto aprire e
riscaldare per quanti avevano paura a dormire a casa; ragioniamo assieme su
come desiderano vivere qui poco più di 1700 persone sparse in 37 frazioni, su come
far nascere e crescere i propri figli, lavorare, prenderci cura degli anziani,
valorizzare le straordinarie peculiarità di questo paesaggio in maniera
rispettosa, e senza essere più ossequianti, tra l'altro di serie B, del padrone
quasi secolare, che c'avrà anche riempito il piatto, ma svuotato da ogni
passione civile. Facciamo sfogare quelli che hanno avuto e hanno paura, quelli
che c'hanno avuto danni, quelli che sono incazzati col mondo; ascoltiamo quelli
che vogliono vivere qui e quelli che vogliono realizzare qualcosa di diverso da
quello che s’è sempre fatto, chiamiamo i nipoti e i pronipoti che hanno le
seconde case ereditate da nonni e prozii e che ci vengono alle feste comandate,
e chiediamogli di impegnarsi davvero perché i loro patrimoni non diventino in
poco tempo rovine abbandonate". Questo era il commento che serviva in quel
post. Proviamo a costruire, insomma,
un'inedita e inusuale pratica di democrazia e di politica, una nuova idea di
comunità, senza casacche, senza livori di paese, senza pensare che "prima
i fatti miei, poi...", ma che invece "se penso per primo all’interesse
generale, alla fine mi riescono meglio anche i fatti miei". Sull'Appennino
ferito dal terremoto si può e si deve ricostruire non solo case, scuole,
chiese, ma anche una migliore idea di democrazia e di comunità. Se non si
accetta questa sfida, che certo è impervia, il fallimento è certo. Rimarranno
le rovine, materiali e immateriali, prevarrà lo spopolamento, la
fossilizzazione macilenta dei borghi, l'inselvatichimento del paesaggio, la
trasformazione delle peculiarità naturalistiche ed architettoniche in uno
sterililizzato e insapore parco divertimenti, attraversato in maniera indolore
e senza alcun contrasto dal realizzando mega oleodotto Snam, che attraverserà
continuativamente a soli 5 m di profondità il territorio appenninico di Abruzzo
e Marche, proprio lungo dove si sono risvegliate le faglie. Al contrario, più
che il silenzio e l’omissione sul terremoto, il potenziale turistico lo
salvaguarda e lo rilancia un territorio vissuto, abitato, in cui la più
incisiva operazione di marketing la fanno quelli che vivono qui, le persone, i
bambini, i vecchi, gli adulti; non sostituibili da nessun infopoint o agenzia
di accoglienza, o socialtour. Chi vuole venire qui non consulta la carta
sismica o il decreto del governo con la lista dei Comuni del cratere. Chi è
interessato a venire qui, turista o viaggiatore, lo sa che questa è zona
sismica e che c’è stato il terremoto, e che ci potrebbe ancora essere, mica è
un deficiente… Ma è interessato a sapere se ci sono borghi vissuti e non
abbandonati, strutture di accoglienza sicure e di qualità, abitanti con una
quotidianità con cui interagire e bere un bicchiere di vino, anziché hostess dal
sorriso impersonale che potrebbero accoglierlo in qualsiasi altro posto del
pianeta. Il fattore antropico, e la qualità della vita che arriva solo dalla
cura del territorio, questa è la storia e la forza dell'Appennino. Le chiese, i
musei, le grotte stanno sparse per tutto il mondo, perfino alle Bermuda. Con "Lontano dagli occhi" Sergio
Endrigo arrivò secondo nel 1969 in quel Sanremo, edizione burrascosa in pieno
clima sessantottino (vinsero per soli 9 voti Bobby Solo e Iva Zanicchi con Zingara). Endrigo, in quella splendida melodia,
canta "Che cos'è? C'è nell'aria
qualcosa di freddo che inverno non è Che cos'è? Questa sera per strada i
bambini non giocano più." Che cos'è, cari compaesani? Ecco, parliamo
del terremoto, parliamone tra noi e parliamo di noi, perché qui, a Falcioni di
Genga, da cinque mesi i bambini che ci vivono, per strada non giocano più (alcuni
hanno dormito impauriti per un mese e mezzo dentro un camper). E questo è un
grosso guaio.
Nessun commento:
Posta un commento