domenica 7 maggio 2017

VENITECI A PRENDERE

Molòn labé (μολν λαβέ): "Vieni a prendere". Il motto, che fu nell'antichità degli eroi di Leonida I alle Termopili di fronte alla sterminata armata di Serse, e più recentemente nel 1973 degli studenti del Politecnico di Atene, asseragliatisi dentro i cancelli dell'ateneo, contro le milizie dei Colonnelli fascisti, potrebbe benissimo diventare il motivo della resistenza di questi ragazzi di Castalsantangelo sul Nera. Da ottobre hanno scelto di restare qui in roulotte, assieme ad alcuni allevatori, per ribadire il diritto a vivere sull'Appennino, e a non far chiudere definitivamente i battenti a questa comunità, deportata d'ufficio sulla costa. All'inizio erano otto, poi come nelle brigate partigiane, altri si sono arruolati e adesso sono in tredici. Da subito, dopo le scosse, si è fatto il possibile perché  non si piazzassero roulotte o container nel parcheggio, ma poi loro le hanno messe e basta. Altri, raccontano, stanno arrivando e si aggregheranno; si sono trovate, grazie al volontariato e alle donazioni, nuove roulotte, per allargare la comunità. Sono stanchi, provati, sfiduciati; hanno passato l'inverno anche a temperature inferiori ai 15 gradi. Hanno tutti intorno a trent'anni. Sanno, consapevolmente, due cose; la prima è che in qualsiasi momento potrebbero essere forzosamente allontanati: il paese è chiuso, evacuato, zona rossa. La seconda, più demoralizzante, è che se non ci saranno, come dicono loro, segni concreti di ripristino di una minima quotidianità entro qualche settimana, chi se n'è andato non tornerà più, e loro stessi non ce la possono fare a sopportare un'altra invernata pesante dentro la roulotte. "Perché – si chiede uno di loro - io non posso immaginare di continuare ad avere una vita qui, a metter su qua una famiglia? Ma se continua a non succedere niente, come faccio a proporre ad altri un futuro qui accanto a me? I miei se ne sono dovuti andare a forza subito, gli hanno dato una tripla in albergo: ci sono babbo, mamma e nonna che c'ha più di ottant'anni, chiusi insieme in una stanza da sei mesi; poi adesso può darsi che li spostano da un'altra parte." Mi portano a vedere intorno alla zona rossa, a piedi fino ad una piccola frazione; ha smesso di piovere ed è uscito un sole caldo e umido. Il paesaggio magnifico dei Sibillini, è oramai assurdamente integrato con le rovine delle case e i cumuli di macerie. Si vede bene un versante della Cima di Passo Cattivo, dove la montagna in sommità s’è proprio staccata ed ha originato due coni franosi di detriti. Mi raccontano, storie, episodi di questi mesi. Alcuni sono da filmografia fantozziana. Come quello di un paesano che è stato costretto ad andar via, e ha trovato un affitto in un paese non lontano, usufruendo del contributo di autonoma sistemazione. Un buon affitto, poi però quando lo Stato ha aumentato, giustamente, la cifra erogata riparametrando le situazioni, anche il proprietario gli ha subito aumentato l'affitto; una storia italiana quasi ordinaria, se non fosse che il proprietario dell'appartamentino non fosse anche il sindaco pro tempore della cittadina... Mi fanno vedere dove la faglia ha aperto e sollevato di diversi centimetri l’asfalto, per poi proseguire sul pavimento del ristorante, aprendolo in due come se ci fosse passata una saetta. Mi raccontano della mattina della 6.5, quando la macchina da dove uno di loro era appena sceso, si è sollevata di un palmo da terra. Della paura e del terrore che ti lascia attonito e paralizzato. Da quei giorni, ogni fine settimana, ai tredici si aggiungono altri che tenacemente, lavorando fuori la settimana e buona parte dell'anno, vengono da comode case a stare quarantott'ore in roulotte, per dare il segnale che non vogliono l'abbandono definitivo del paese, ma al contrario la sua ripresa e ricostruzione. Non certo "com'era dov'era", mica sono scemi, ma lì, dove da secoli, anche dopo  i rovinosi e luttuosi terremoti del 1700, la comunità è riuscita a ripartire e diventare fino a qualche mese fa, un borgo splendido a forte vocazione agroalimentare, culturale e turistico, e dove girava una dignitosa ed etica economia. "Guarda - prosegue il quasi trentenne - alla fine se vengono qui ad arrestarmi e portarmi via, quasi quasi io resisto, così mi danno il penale e mi mettono in galera, dove almeno c'è un tetto, un letto vero, un pasto e la doccia. Io so che se non cambia qualcosa, se non arrivano in fretta le strutture abitative di emergenza, o con un minimo di buon senso e di assunzione di responsabilità da chi di dovere, si ridà agibilità a quelle case che hanno danni lievi, e che ci sono, in mezzo alla zona rossa, e un po' di gente riesce a tornare, alla fine dell'estate mi tocca andarmene in un'altra città, lontano da qui. Già diversi che sono via al mare o da altre parti, è certo che non torneranno più. Non posso rinunciare a costruirmi una famiglia per stare a tribolare qui; mi sento in colpa, ma in coscienza non riesco ad imputarmi niente. Io c'ho provato, sono loro alla fine che mi avranno mandato via da qui". Chissà come finirà la resistenza di questo e degli altri nuovi partigiani dell'Appennino? Se in maniera tragica come alle Termopili, dove oggi più che un novello Serse, nell’Alta Valle del Nera avrà la meglio la strategia dell'abbandono. Oppure come nell'Atene dei Colonnelli, dove i fascisti furono deposti e tornò la democrazia? Passa un pick-up, si ferma, tira giù il finestrino. "Io a te ti riconosco - sorride prima con gli occhi, poi con la bocca, è Agostino, quello delle mucche - allora sei tornato fratello?" "E certo - rispondo, e le mani si stringono in maniera non formale - i fratelli hanno il dovere di ritrovarsi, come va?" "Finché se vedemo - dice ridendo quello accanto ad Agostino sul sedile - va sempre bene." C'ha quasi novant'anni, qui c'ha le pecore e le mucche; sta qui pure lui da ottobre in roulotte. "A questi - penso ripartendo - andateli un po' a prende'...che dopo ridemo..."

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