E già, sono passati quasi
trent’anni da quando lessi la “Lettera ai cappellani militari” di Don Lorenzo
Milani, che ebbe l’effetto di orientare i miei pensieri di poco più che
adolescente, e anche qualche scelta di quegli anni. Ed è il tema, più o meno
palese, della disobbedienza, che mi ha colpito di più in una questione del
territorio marchigiano di questi giorni: quella dei medici di Fabriano, che
continueranno a far partorire in città le donne che vorranno farlo, nonostante i
provvedimenti, nazionale e regionale, che hanno chiuso il servizio da inizio
anno. Tutti professionisti che, per dirla alla Crozza-Razzi, potrebbero
benissimo essere assoggettati al “fatti li cazzi tua”. Sono fondamentalmente i
gesti di disobbedienza, personali e collettivi, a partire da quelli di coloro
che liberarono l’Italia dal fascismo, che consentono di ripristinare una
normalità democratica. Disobbedienza come pratica democratica, quando la
politica, e le scelte di quest’ultima, vanno a ridurre diritti e democrazia. Se
la politica oggi, e in maniera per certi versi esponenziale anche rispetto ad
un passato con tutti i suoi limiti ed errori, ha come prerequisito fondante
l’obbedienza (al leader, al capobastone, al partito, alla consorteria, alla
cricca, alla cosca,…), a tutti e tutto fuorché all’interesse comune, l’unica
leva che hanno i cittadini è quella della disobbedienza. Alla politica
obbediente che restringe i confini della democrazia, si può solo rispondere con
gesti di disobbedienza civile, di ciascuno e di molti. Atti di sabotaggio (si,
SABOTAGGIO, tanto la sentenza su Erri De Luca oramai fa giurisprudenza), non
violenti, ma che abbiano la forza, anche testimoniale, di destabilizzare un
potere miope e arrogante. Alla politica obbediente, più che la compravendita
dei voti, è indispensabile la compravendita delle coscienze. “Ma come? Che fa
questo qua? Non obbedisce?”: è a questo che non sono preparati; quella politica
lì, la disobbedienza non la sa gestire, perché nel suo praticarsi diventa essa
stessa politica, quella autentica, quella cosiddetta con la “P” maiuscola,
proprio perché ha lo scopo di rimarginare democrazia e diritti che vengono
lesi. Chi disobbedisce perché per interessi particolari si vogliono ledere
diritti costituzionali, privatizzare beni comuni, compie un atto democratico, che
rappresenta l’unico, ma doppio antidoto: alla politica obbediente, e
all’antipolitica forcaiola. In quest’epoca la Politica sta proprio qui, nelle
piccole o grandi scelte, e comunque anche potenzialmente portatrici di
ripercussioni sul piano personale, di quelli che in ragione di un interesse generale e pubblico, disobbediscono. Li potremmo chiamare ricostruttori di democrazia. Trent’anni
(o quasi) dopo, attraversati, per dirla con De Andrè, “litri e litri di
corallo”, ne sono fermamente convinto. A proposito, proprio cinquant’anni fa, il
15 febbraio 1966, per aver scritto la “Lettera ai cappellani militari”, Don
Lorenzo Milani venne assolto in primo grado dai giudici “perché il fatto non
costituisce reato”.
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