Non saprei se è un caso
dovuto ad un mio particolare e temporaneo stato d’animo, oppure se ci possa
essere un vero fondamento statistico, ma in prossimità di ricorrenze
democratiche e della memoria da calendario, mi capita di prendere atto con maggiore
percettività, da alcuni fatti che accadono in campi anche molto eterogenei della
vita quotidiana, da cose lette qua e là sulla rete postate da anonimi cittadini
e da cosiddetti opinion maker sulla stampa, o di chiacchiere orecchiate in
qualche bar, ufficio, pubblico esercizio, di quanto sia radicato e neanche tanto sommerso in
tanta popolazione italiana un orientamento identitario e culturale fascista. A
prescindere dalla fascia generazionale, dal livello sociale e culturale, dall’orientamento
politico. Sia chiaro, non un fascismo per forza nostalgico del ventennio o dell’
“uomo dal petto villoso”, oppure che si manifesta in forme politiche e
culturali strutturate ed organizzate (è comunque pur vero che in Italia ce sono
di diverse). Ma un fascismo più soft, che non milita o si organizza, anzi,
nella maggioranza delle situazioni è fatto di individualità, di singoli che si
fanno i cazzi propri; quasi light, da apericena. Che si manifesta ogni volta
che nei comportamenti, nelle scelte individuali o familiari, nella visione di
una comunità civile e sociale organizzata e del ruolo del singolo in quell’insieme,
non ha radice strutturata la parola tolleranza. E allora, tra un commento su facebook
e una coda allo sportello, tra un caffè e una paparella, tra una mezza manica
fredda con radicchio e noci e un calice di IGT, prevale l’appellativo
indicativo “quelli lì”. E l’indicatore di questo fascismo politically correct, completamente sdoganato negli usi quotidiani,
diventa il linguaggio. Clandestino anziché migrante o rifugiato, zingaro anziché
rom o nomade, frocio anziché omosessuale, terrorista anziché musulmano; ma
anche un neorealistico richiamo alle cosiddette “cose buone fatte quando c’era
lui”: palazzi, strade, ferrovie, etc.; quando “certe cose si che funzionavano”,
mentre oggi non funziona un cazzo. Un linguaggio, riferimenti, comportamenti,
oggi divenuti patrimonio comune di pensionati e studenti universitari,
impiegati e liberi professionisti, commercianti e imprenditori, casalinghe e
amministratrici delegate. Ricchi e poveri, evasori fiscali ed integerrimi
paladini della legalità, timorati di Dio e laici incalliti. E che si traduce in un riconoscimento
elettorale, ma ancor prima di un personale e fisiologico bisogno, di una leadership politica
in chiunque si proponga come “uomo solo al comando”, o quello che “o con me o contro
di me”, bypassando ogni categoria politica storicizzata novecentesca, destra,
centro e sinistra. Un fenomeno massivo, strutturato, e oramai, più che
drammaticamente, tragicomicamente maggioritario. Nei confronti del quale, aimé,
non intravedo se non inefficaci alternative comunitarie e politiche organizzate,
tragicomiche anch’esse, e inconsapevolmente, nella più benevola delle letture,
complici. Ma nei confronti del quale però riconosco, giorno dopo giorno, una
significativa ma sparpagliata, perché irregolare e libera, moltitudine di
disobbedienti; “italiani che “sanno” e
manifestano ogni giorno nelle piazza, nelle fabbriche, nelle scuole, ovunque,
un dissenso che è il frutto di questa consapevolezza”.
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