Premessa: non sono un
esperto di turismo, né mi atteggio a tale, né è settore il mi interessa maggiormente Mi capita però spesso di trovarmi in
contesti di varia natura in cui si disquisisce di turismo, di politiche del
turismo, di riconversioni turistiche di territori che fino a qualche tempo
prima hanno basato la propria economia e socialità su altri settori, e che la
crisi ha in pochi anni smantellato. Questo accade in particolare quando la
convegnistica del caso, o i tavoli pre-para-intra istituzionali, si interessano
della cosiddetta Italia interna. La cosa che più mi colpisce è la poca
conoscenza dei luoghi da parte di coloro che pensano e propongono nuove strategie
culturali, sociali ed economiche; mi conforta, ma solo parzialmente, il fatto
che diversi lo facciano gratis o a rimborso spese. In particolare il deficit più
evidente è la mancanza del punto di vista di chi in quel territorio ci vive e
lo conosce; non perché sia per forza quello migliore o giusto, anzi, spesso il
contrario. Però è quello un osservatorio indispensabile, perché altrimenti il
rischio è quello di costruire delle belle fiabe, dei format teorici dal
fallimento scontato, e proporre delle pratiche che non tengono per nulla conto,
ad esempio, delle contraddizioni spesso storicizzate che hanno segnato un territorio, e su cui chi aveva interessi particolari né ha tratto lauti vantaggi. Capita, come ho avuto modo di verificare, di definire
semiabbandonato un borgo, quando al contrario è abitato da bambini, adulti e
anziani. Capita di magnificare un sentiero che conduce in un eremo millenario,
senza sapere che per arrivarci si deve attraversare una proprietà privata in
cui è palesemente vietato l’accesso, e che si rischia di essere denunciati dal
proprietario per violazione della proprietà privata. Capita di costruire eventi
su temi naturalistici, senza sapere che si esporrà i fruitori alla possibilità
di essere abbattuti dalle squadre di cacciatori di cinghiali, che sparano a
tutto quel che si muove con carabine a gittata di 3 km. Capita di pensare di
indirizzare famigliole in percorsi di trekking senza la consapevolezza che anziché
udire i suoni della natura, si rischia di fargli spaccare i timpani e tremare le ginocchia dal boato
di una mina di cava. Capita di promuovere la visita ad un sito museale e di stimolare a consumare le tipicità enogastronomiche a km zero, senza sapere che quei
visitatori, appena scesi dalla macchina verranno molestati dai volantinatori
dei ristoranti del luogo, che si contendono selvaggiamente qualche coperto in
più con menù a meno di 10 € tutto compreso, in cui gli unici zero sono quelli
della ricevuta fiscale. E si potrebbe
continuare a lungo. Per riconvertire un territorio ad una nuova economia, ed in
particolare a quella turistica, forse il primo passo è sapere se gli umani che
abitano quel territorio sono d’accordo, e se lo sono, magari coinvolgerli e
conoscere per primo la visione di futuro di quelle persone. E pretendere,
consapevoli che li si porrà il più delle volte di fronte ad un bivio, alla
società organizzata e rappresentata (Istituzioni, categorie economiche e
professionali, associazioni), di spendersi, ciascuno per propria funzione e
competenza, per rimuovere alcuni conflitti che di fatto, anziché avvicinarli,
allontanano i turisti. Ma forse, la vera strategia per riconvertire territori,
specialmente nelle aree interne, non è quella di trasformarle in grandi “parchi
giochi”, ma quella di creare nuova residenzialità, di offrire opportunità perché
queste siano abitate tutto l’anno, che ci siano servizi alle varie età ed
attività. Forse anziché di turisti, molti territori hanno semplicemente bisogno
di abitanti. Un’impresa titanica rispetto alle capacità della politica e delle
Istituzioni, che perseguono, nei territori interni, esclusivamente la strategia della
fusione tra Comuni, riducendo solo pratiche democratiche e senza alcun
miglioramento dei servizi; ma che in compenso coniano nomi per le nuove
municipalità, rispetto alle quali il “petaloso” di un bambino, è già classificabile
come un termine arcaico.
Si parla di valorizzazione delle aree interne, via via depauperandole di servizi fondamentali, di vie di comunicazione, di risorse. Perchè tra il dire e il fare ci sono di mezzo i voti e le aree interne, si sa, di voti ne hanno pochini...
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