venerdì 6 gennaio 2017

... TUTTE LE FESTE SI PORTA VIA.

Oramai è abbastanza chiaro qual'è la partita che si giocherà nei prossimi tempi sull'Appennino ferito dal terremoto. O meglio, è la ripresa di una partita antica, sospesa e ricominciata più volte negli anni. Il sisma recente ha semplicemente fischiato un nuovo calcio d'avvio. È la sfida tra chi pensa, progetta, lavora perché la montagna sia un luogo dove vivere, crescere e morire, e quanti anche loro pensano, progettano e lavorano perché la montagna diventi definitivamente un luogo spopolato, utile a perseguire interessi economici di pochi, anche opachi, lontano da qualsiasi controllo; tutt'al più un territorio per occasionali vetrine vacanziere e turistiche, in ambienti sterilizzati tipo parco avventura. Dopotutto perché stare a ricostruire tanti piccoli abitati urbani di poche centinaia di persone, che la furia della natura ha raso pressochè al suolo? Non ci sono solo i costi vivi della ricostruzione immediata, ma quelli, enormi, negli anni a venire: servizi alle persone, alle attività economiche, manutenzione del territorio e prevenzione del rischio geomorfologico ed idrogeologico, etc etc... Ma siamo matti? Tutto ciò per qualche migliaia di persone? Meglio accompagnare una loro riconversione del quotidiano da un'altra parte, dove c'è già tutto, e molto, in questi anni di crisi, di avanzo: case, infrastrutture, centri commerciali, etc. Si, ma il lavoro? E perché, in montagna prima del terremoto, c'era il lavoro? E quale? Le pecore, le mucche, un po' di artigianato, qualche trattoria, un po' di affittacamere? Roba da piccoli numeri, il lavoro è un'altra cosa...è le fabbriche, gli uffici, i grandi negozi... E nel corso degli anni, mentre la partita era temporaneamente sospesa, si sono anche cambiate alcune regole del gioco: una legge sui parchi nazionali che indebolisce il concetto di tutela, le fusioni dei piccoli comuni, le grandi infrastrutture stradali (come la Quadrilatero, tanto per fare un esempio) che tagliano fuori le piccole comunità e micro, ma vitali, attività economiche, le riorganizzazioni scolastiche, la razionalizzazione dei presidi sanitari, etc etc. La squadra della #strategiadellabbandono è molto forte, compatta, allenata, pratica schemi collaudati. L'altra formazione, quella "dei partigiani della pelle del mondo", è fatta di contadini, di pastori, di piccoli artigiani, di nuclei familiari che vivono di turismo sostenibile, qualche eccentrico personaggio che dice di essere un artista e 'mangia' con la cultura; una selezione spesso abituata all'individualità piuttosto che al collettivo, a difendersi anziché attaccare... che ha tutte le premesse per prendere un "cappotto" definitivo. Poi ci sono i tifosi sugli spalti, e quelli "tutti allenatori" per un giorno; quelli che hanno passato anni nei convegni sulla montagna e sulle politiche per le aree interne. Di quelli che 'tengono' con la squadra della #strategiadellabbandono non mi interessa molto, l'importante è riconoscerli, perché stanno annidati anche dove meno te lo aspetti. Per tutti noi che 'stiamo' con quelli dell'Appennino, e alcuni di noi sull'Appennino ci stiamo proprio a vivere, adesso che è passata pure l'Epifania, è ora di mettersi in braghe e calzettoni, e giocare assieme ai montanari che in questi ore resistono a - 12°, e agli altri "deportati" (come dicono loro) sulla costa e al lago, questa partita, dal finale non affatto pregiudicato. Perché "questa, è una storia che..." (per dirla alla Lucarelli) ha anche a che fare con la parola democrazia. 

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