Oramai è abbastanza chiaro qual'è la partita che si
giocherà nei prossimi tempi sull'Appennino ferito dal terremoto. O meglio, è la
ripresa di una partita antica, sospesa e ricominciata più volte negli anni. Il
sisma recente ha semplicemente fischiato un nuovo calcio d'avvio. È la sfida
tra chi pensa, progetta, lavora perché la montagna sia un luogo dove vivere,
crescere e morire, e quanti anche loro pensano, progettano e lavorano perché la
montagna diventi definitivamente un luogo spopolato, utile a perseguire
interessi economici di pochi, anche opachi, lontano da qualsiasi controllo; tutt'al più un territorio per occasionali vetrine vacanziere e turistiche, in
ambienti sterilizzati tipo parco avventura. Dopotutto perché stare a
ricostruire tanti piccoli abitati urbani di poche centinaia di persone, che la
furia della natura ha raso pressochè al suolo? Non ci sono solo i costi vivi della
ricostruzione immediata, ma quelli, enormi, negli anni a venire: servizi alle
persone, alle attività economiche, manutenzione del territorio e prevenzione
del rischio geomorfologico ed idrogeologico, etc etc... Ma siamo matti? Tutto
ciò per qualche migliaia di persone? Meglio accompagnare una loro riconversione
del quotidiano da un'altra parte, dove c'è già tutto, e molto, in questi anni
di crisi, di avanzo: case, infrastrutture, centri commerciali, etc. Si, ma il
lavoro? E perché, in montagna prima del terremoto, c'era il lavoro? E quale? Le
pecore, le mucche, un po' di artigianato, qualche trattoria, un po' di
affittacamere? Roba da piccoli numeri, il lavoro è un'altra cosa...è le fabbriche, gli uffici, i grandi negozi... E nel corso
degli anni, mentre la partita era temporaneamente sospesa, si sono anche
cambiate alcune regole del gioco: una legge sui parchi nazionali che indebolisce il
concetto di tutela, le fusioni dei piccoli comuni, le grandi infrastrutture
stradali (come la Quadrilatero, tanto per fare un esempio) che tagliano fuori
le piccole comunità e micro, ma vitali, attività economiche, le
riorganizzazioni scolastiche, la razionalizzazione dei presidi sanitari, etc
etc. La squadra della #strategiadellabbandono è molto forte, compatta,
allenata, pratica schemi collaudati. L'altra formazione, quella "dei
partigiani della pelle del mondo", è fatta di contadini, di pastori, di
piccoli artigiani, di nuclei familiari che vivono di turismo sostenibile,
qualche eccentrico personaggio che dice di essere un artista e 'mangia' con la cultura; una selezione
spesso abituata all'individualità piuttosto che al collettivo, a difendersi
anziché attaccare... che ha tutte le premesse per prendere un
"cappotto" definitivo. Poi ci sono i tifosi sugli spalti, e quelli
"tutti allenatori" per un giorno; quelli che hanno passato anni nei convegni sulla montagna e sulle politiche per le aree interne. Di quelli che 'tengono' con la
squadra della #strategiadellabbandono non mi interessa molto, l'importante è
riconoscerli, perché stanno annidati anche dove meno te lo aspetti. Per tutti noi che 'stiamo' con quelli dell'Appennino, e alcuni di
noi sull'Appennino ci stiamo proprio a vivere, adesso che è passata pure
l'Epifania, è ora di mettersi in braghe e calzettoni, e giocare assieme ai
montanari che in questi ore resistono a - 12°, e agli altri
"deportati" (come dicono loro) sulla costa e al lago, questa partita, dal
finale non affatto pregiudicato. Perché "questa, è una storia che..." (per dirla alla Lucarelli) ha anche
a che fare con la parola democrazia.
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