martedì 26 aprile 2016

ALLA STAZIONE C'ERANO TUTTI

Ho scelto di condividere la Festa della Liberazione con una piccola comunità dell’entroterra marchigiano di meno di 5000 abitanti; la consuetudine avrebbe voluto che la trascorressi nel capoluogo di Regione. In quella cittadina nelle settimane scorse si era verificato un problema, definiamolo così: il Sindaco non voleva andare al di là di un manifesto copia/incolla e di un mazzo di fiori portato da un usciere del Comune, di buon mattino e senza cerimonia, al monumento dei caduti (anziché al murales della Resistenza, scambiando volutamente il 25 aprile con il 4 novembre); ma soprattutto non voleva fare il 25 Aprile con l’ANPI. In quella cittadina c’è un sindaco-imprenditore, a capo di una lista civica molto eterogenea. Uno che pensa che “occupare” con il proprio conflitto di interessi l’Istituzione, possa portare benefici ai cazzi propri; e di cazzi d’impresa, quell’imprenditore ne ha tanti. Nelle settimane precedenti, l’ANPI di quel Comune non si è persa d’animo, e si è messa ad organizzare una sua cerimonia del 25 aprile, chiamando a raccolta quella società civile che non ritiene giusto stare “a bottega” dal sindaco-imprenditore e che, soprattutto, non è ricattabile da quel potere politico. Cosa curiosa, a rendere atipica quella dinamica locale, c’è la consuetudine da qualche anno che la parrocchia del paese, con il beneplacito del vescovo ciellino-operaio, il 25 aprile fa le cresime, a prescindere se la festività cada di domenica o in un altro giorno della settimana; che coincidenza singolare… Mi hanno raccontato che, dopo che l’ANPI s’è data da fare, nella maggioranza politica che governa il Comune, abbiano litigato parecchio, intravedendo, i più lucidi, lo sputtanamento. Ma niente, il sindaco –imprenditore ha avuto la meglio; si è fatto come comanda lui, solo manifesto e, sembra che questi addirittura ieri fosse in Cina. Non per impegni istituzionali, ma per cercare qualche cinese che fosse possa essere interessato alle sue aziende, che non se la passano proprio alla grande. Ho letto il manifesto del 25 aprile del Comune ieri, arrivando in centro; non c’è mai la parola “antifascismo” e “Resistenza”; solo un vago richiamo alla pace e alla fratellanza universale. E al murales della Resistenza, in una fredda, anzi freddissima e ventosa mattinata di primavera, che sta davanti la stazione ferroviaria (chissà perché ad un certo punto m’è venuta in mente la stazione di Bocca di Rosa…), ho trovato l’ANPI, le ragazze e i ragazzi del centro di aggregazione giovanile, l’AVIS, i Carabinieri del paese in veste da cerimonia, qualche coccinella e boy scout, alcune insegnanti dell’istituto comprensivo, delegazioni dei sindacati e di alcuni partiti, e diversi cittadini. E abbiamo condiviso una bella cerimonia del 25 aprile fai da te. Mi hanno raccontato nei giorni scorsi che il sindaco-imprenditore, da tempo si sarebbe venduto la storia, le radici e l’autonomia del Comune e della comunità, favorendo la fusione della sua municipalità con quello confinante di trentamila abitanti, in cambio di qualche salvacondotto per le sue imprese, ma non certo per i lavoratori, ma solo per le sue saccocce. Il tutto con il beneplacito di livelli istituzionali superiori e, teoricamente, politicamente avversi alla maggioranza che regge il Comune. Di questo aspetto poco mi importa; trovo invece che quel manipolo di cittadini, che andava dalle coccinelle al locale partito comunista che più comunista non si può, che s’è ritrovato al freddo di fronte al murales della Resistenza, rappresenti l’unica speranza per quella comunità, e il germe di un nuovo fronte di democrazia comunitaria che ha il dovere di non disperdersi. Da lì si può ripartire, dalla sperimentazione di una nuova pratica di partecipazione, fra storie ed individualità differenti, fra pari, e che liberi a breve quella comunità dal padrino di turno, e che riaffermi che storia, identità, democrazia di un paese, non si vendono, né si svendono, con la puttanata delle fusioni tra comuni, per gli affari di qualche sindaco-imprenditore pro tempore, e neanche per le lusinghe della moda istituzionale di turno, portata porta a porta da qualche commesso viaggiatore della politica del governo nazionale. Spero che l’ANPI locale, insieme ad altri, sappia raccogliere questa eredità, non di 71 anni fa, ma di appena ventiquattr'ore fa. 

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