Prendo a prestito, nel
giorno che sarebbe stato il suo 73 ° compleanno, il titolo di una canzone di Faber
per raccontare una storia, per come la so io almeno (e penso di saperla bene),
di diversi anni fa, 19 per l’esattezza. E’ la storia del Parco Regionale Naturale
della Gola della Rossa e di Frasassi. Una delle zone più belle d’Italia, delle
Grotte di Frasassi, delle vie d’arrampicata che stanno su tutti i manuali di
roccia, di sentieri escursionistici che portano in antichi abitati ed edificati
religiosi eremitici. Quale migliore idea, per la classe dirigente politica di allora, che
farlo diventare un territorio protetto, tutelato, e vocato al turismo
ambientale, nuova potenziale risorsa occupazionale ed economica, quando già c’erano
avvisaglie che lavatrici, frigoriferi e cappe aspiranti non sarebbero durati
per sempre? Ci fu subito un però, o meglio, ci furono alcuni però… Il primo, le cave,
attività estrattive a cielo aperto che da decenni stavano asportando porzioni
di montagne. Come si fa? Le cave danno lavoro, elargiscono frazioni di
lire/euro sui volumi estratti alle amministrazioni locali e quindi tengono in
piedi i bilanci, sponsorizzano qualche evento culturale di paese; e poi, soprattutto,
quando c’è la campagna elettorale, un contributo ai candidati lo danno sempre,
e a tutti, destra, centro e sinistra. Il secondo però: la caccia. Come si fa? I
cacciatori sono tanti, organizzati in associazioni, e quando ci sono le
elezioni votano, e con loro famiglie e parenti, e ogni candidato ne controlla un gruppetto. E
allora la politica di allora escogitò il grande compromesso, in pieno stile
riformista del tempo. La legge regionale che istituì il parco, escluse dal perimetro
dell’area protetta ogni bacino di cava, sui monti e nell’alveo del fiume, e
lasciò fuori dal parco un pezzetto di monti e di boschi, liberi per i
cacciatori. Per cui, alla fine, chi si beccò i vincoli dell’area protetta? Quelli
che ci abitavano e quelli che ci lavoravano, semplici cittadini e gli agricoltori;
tutti questi per, come si dice, cambiare una lampadina, dovevano e devono
tuttora sottostare a mille prescrizioni e fare decine di pratiche burocratiche.
A nessuno invece importò, considerato che nell’area del parco passavano infrastrutture
stradali e ferroviarie, a rafforzamento dello spirito ambientalista, di raddoppiare la linea ferroviaria e puntare su un’idea di mobilità sostenibile.
Il contrario, come spesso accade: alla fine del primo decennio del XXI secolo, anziché
farlo 40 anni prima, quando avrebbe avuto un senso, ad alcuni, mossi da una
nuova idea di progresso e sviluppo economico ed industriale di lì ad arrivare
dopo la crisi, venne l’idea di raddoppiare l’arteria stradale, perché così si
sarebbe potuti arrivare dall’Umbria al mare Adriatico ben 15 minuti prima rispetto
alla percorrenza attuale. E allora però come si fa a fare un’opera così, che
sbudella il paesaggio e il territorio, in mezzo ad un Parco Naturale, con i
vincoli che ci sono? Nessun problema, ecco la Legge Obiettivo, che bypassa ogni
normativa preesistente e ogni vincolo: si chiama Quadrilatero. Nel frattempo la
linea ferroviaria è funzionale quanto lo sarebbe stata ai tempi di Buffalo
Bill. In tutta questa storia, nei diciannove anni, la politica, a tutti i livelli
e di ogni colore è stata esemplare: sempre d’accordo, e chi non lo poteva proprio essere per costituzione, un timido abbaglio e poi ficcato in qualche giunta o
qualche cda. Intanto negli anni si è promossa e raccontata una grande, e pure
costosa a volte, fiaba istituzionale, quella del parco delle meraviglie, con
gli uccellini, pesciolini, fiorellini, l’aquila reale di Frasassi, e pure
qualche lupo; convegni, seminari ed eventi, passeggiate per le scolaresche,
educational tour, carriole di libri e depliant istituzionali, siti e social
network istituzionali con foto taroccate che escludono quello che non è
conveniente far vedere. E invece, non si ha il coraggio di dire ciò che in
realtà è il Parco Naturale della Gola della Rossa e di Frasassi: una delle aree
ambientalmente più devastate e degradate della Regione. La politica di oggi fa
finta di nulla, non sa da che parte riprenderla questa storia per raddrizzarla,
perché gli interessi economici di allora, che piegarono ginocchia e
ingrossarono saccocce, sono gli stessi, se non maggiori. C’è, anche qui, un però:
un po’ di gente, ad esempio, che domenica scorsa, siccome si è rotta i coglioni
della farsa politically corrrect, e non c’ha niente da perdere, quasi per gioco
ha ammucchiato sotto la pioggia più di cento persone per una passeggiata dentro
la Gola della Rossa, in una strada storica che fu fatta costruire da un Papa
nel 1700, e che da anni è interdetta e chiusa, perché data da decenni in uso
esclusivo alle imprese delle attività estrattive, in cui oggi lavorano meno di 20 addetti. Abitanti della zona, tra cui
un 92 enne, signore refrattarie a tutto che sono uscite di casa sotto l’acqua, ragazze e ragazzi
dei centri sociali, ambientalisti ,escursionisti, ciclisti, rocciatori, associazioni
ambientaliste, tanti normali cittadini e diversi cani. Un’altra idea di
democrazia, di partecipazione, di politica. Vogliono che la strada, che è
pubblica, sia rimessa in sicurezza, aggiustata, con una pista ciclabile e
transitabile dai residenti e dai mezzi di soccorso. E che quello che stanno facendo alle montagne, dove tutti i giorni esplodono mine e la polvere di calcare imbianca alberi e polmoni, possa essere visto e controllato da tutti. Ce la faranno? Chi può
dirlo? Intanto vanno avanti, dopo domenica adesso fanno sul serio. La loro
causa la trovate su Facebook alla pagina Riprendiamocilastrada.
P.S. Di quella politica e
dei loro rappresentanti istituzionali, che 19 anni fa si inventarono il grande
compromesso sul parco, e di quella più recente, protagonista della Quadrilatero
e del continuare a far estrarre calcare massiccio dai monti fino al 2043, si
conoscono nomi, cognomi, e molti di questi ancora stanno “sul pezzo”, o
circolano in qualche convegno. Così come si conoscono altrettanto le generalità
di quelli che non sono stati al gioco, non hanno fatto carriere istituzionali e
sono tornati al proprio lavoro, o se ne sono trovato uno.