Sarebbe stato
magnifico arrivarci che fosse ancora giorno in questa osteria sul lago, da cui
si scorgono i Sibillini, anche se la fase di luna piena ci lascia intravedere
le cime imbiancate delle creste che spezzano il buio. Ma tant’è, come da
tradizione, certe riunioni si fanno di notte… Arrivano alla spicciolata, un
sacco di gente, più del previsto, dicono i promotori. Nell’afflusso arriva un
gruppetto, una decina circa, di persone palesemente straniere; strano, turisti
da queste parti, d’inverno e col terremoto. “Sono venuti pure gli inglesi!”
dice un organizzatore dell’incontro; quindi non sono turisti, concludo, ma
partecipanti all’incontro. Gli “inglesi” sono i proprietari di case-vacanza
acquistate in questo territorio, e che se le sono ritrovate lesionate o crollate
con il terremoto; sono venuti per capire, per informarsi, per chiedere. Sono un
po’ buffi, sembrano i protagonisti compassati di quei format televisivi tipo “vado
a vivere in campagna” o simili. Si siedono in cerchio insieme a tutti gli
altri, dopo aver preso al bancone della locanda, la tradizionale birretta, come
se fossero al pub, solo che qui hanno esclusivamente Menabrea o Moretti. E’
osservandoli, così composti, integrati ed estranei al tempo stesso, che per una
semplice ed illogica rimuginazione anglofona, mi viene in mente lo “yes we can”
di anni fa… La riunione è quella di Terreinmoto Marche, “una rete di realtà sociali, associazioni e semplici
cittadini che vogliono intervenire sul terremoto a livello informativo,
comunicativo e sociale”, come si definiscono sulla pagina facebook. E alla
riunione ci sono tante realtà democratiche di base, persone che col terremoto
hanno perso tutto, allevatori, chi resiste in roulotte e chi è sfollato sulla
costa. Con un comune obiettivo: non disperdere quel senso di comunità che ha
sempre contraddistinto questo territorio, e rendersi parte attiva, direttamente
coinvolta, e contraddittoria se occorre, nel processo di ripartenza e
ricostruzione dopo la catastrofe del terremoto; portare a chilometro zero
quella che è oggi la distanza siderale tra livelli decisori e popolazioni, nei
processi e nelle scelte da compiere. Uno scopo gigantesco, considerata la
situazione del territorio, già attraversato con forza dalla
#strategiadellabbandono, ed i tempi e modi della politica, in giorni in cui si
ripropone nuovamente una spompata visione leaderistica, che alla fine però sa
tanto di concordato preventivo. Lo spirito che attraversa il salone della locanda
è diverso dalla semplice solidarietà e beneficienza. Lo straordinario e
generoso moto, che il dramma del terremoto ha attivato in opere ed azioni
filantropiche, e di cui c’è ancora enormemente bisogno, si esaurisce al, seppur
prezioso, gesto di filantropia diretta: la donazione, la raccolta fondi, l’aiuto
al singolo o alla comunità. Qui c’è qualcosa d’altro, che va oltre: c’è il
sentimento della solidarietà che diventa fatto politico, che attiva pratiche di
partecipazione e democrazia, e che muove dalla storia, dalle problematiche non
solo urgenti e recenti, di un territorio, e dei diritti chi ci vive, per
nascita o per scelta; questa realtà si chiama montagna, con la sua peculiarità
e specificità. Ad un certo punto entra in sala, ad incontro iniziato, Paolo. Ci
riconosciamo subito, sorpresi ma fino ad un certo punto; un abbraccio forte,
senza parole. L’ultima volta che siamo stati assieme è quando abbiamo dormito per
più notti sui banchi del laboratorio di Scienze della Terra all’Università di
Perugia, durante la Pantera, più di venticinque anni fa. Lui vive da queste
parti in montagna; ci bisbigliamo un po’ di cose, quello che facciamo, dove e
come viviamo, senza avere la pretesa di raccontarci nel dettaglio quello che è
successo a ciascuno per un quarto di secolo, dopo che si scappava insieme da
qualche manganello della Celere che sgomberava il Rettorato. Per questo ci
prenderemo adesso il giusto tempo. Mi ha colpito una cosa che mi ha detto, ad
un certo punto, ascoltandomi; “allora sei come noi”. Ecco, questa frase è un
segno distintivo, che appartiene ad una comunità sparsa ma al tempo stesso
attraversata da una forte fraternità, quella della montagna. Chi vive in città,
in pianura o sulla costa, pur sentendosi sinceramente solidale ed anche
generoso con i territori segnati dal terremoto, una roba così non riesce a
percepirla, perché te il terremoto non ce l’hai avuto dentro, perché qui non ci
vivi e la notte non ci devi tornare a dormire. E di conseguenza per te la
solidarietà esaurisce il tuo bisogno di renderti utile; ma per il popolo dell’Appennino
è fisiologico che quello che vive a seguito di una condizione di straordinaria
destabilizzazione, diventi ad un certo punto pratica civile e politica; perché c’è
in gioco il tuo presente e il tuo domani, e sai bene che non ti puoi fidare di delegarne gli esiti e le strategie a qualcun altro che sostiene di rappresentarti. Per questo Terreinmoto Marche è un’originale
e nuova pratica di democrazia, che mette insieme senza gerarchie e
appartenenze, la vita delle persone e di un territorio, per quello che sono,
ancor prima di quello che potrebbero rappresentare. Da questa locanda di
montagna in riva ad un lago, comprendi che qui il “si, possiamo farcela” è
autentico, vero, senza filtri e opacità. Perché è un obiettivo condiviso di
tanti e diversi, non il desiderata di
uno per tutti.