“Sembrava il treno anch’esso un mito di progresso”, canta Guccini
ne “La Locomotiva.
In effetti, la “strada ferrata” è ancora un simbolo futurista e
progressista; tanto più nell’urgenza di arginare, ammesso che si sia ancora in tempo,
il cambiamento climatico.
Sicuramente più delle strade; basti pensare alla peggiore ed
ingannevole scelta politica fatta nelle Marche, dal Dopoguerra ad oggi, che è
stata la Quadrilatero.
Di conseguenza, il completamento del raddoppio della
Falconara-Orte nei tratti montani rimasti, è un progetto che arriva enormemente
in ritardo; almeno di una trentina d’anni.
Dopo che da quasi due anni si sono visti operare nel territorio
gengarino i tecnici di Italferr per i rilievi geotecnici, e che un anno fa è
stato approvato il PNRR con l’opera finanziata, solo da qualche settimana si è
scoperto in loco che presto inizieranno i lavori del raddoppio.
Chiaramente, come è giusto, avendo il processo una fase di
pubblicità partecipativa, prevista dalla normativa sulle Grandi Opere, si è
acceso il dibattito.
Sarà l’Amministrazione Comunale di Genga nello specifico, che
dovrà interloquire con Italferr per le cosiddette “osservazioni”. Sollecitata,
a ben ragione, dagli abitanti. Alcuni molto preoccupati perché i cantieri e
l’opera interesseranno loro legittimi interessi; altri, come tutti i pensionati
del mondo che guardano i cantieri con ambizioni strategiche, impegnati ad
esercitarsi nel più naturale del chiacchiericcio, dei pareri tecnici, del problem solving.
Quello che mi pare emergere finora, è che sia le Istituzioni che
la popolazione, guardino all’opera con l’occhio rivolto sulla parte che più interessa.
L’Amministrazione, molto rivolta alla sorte finale del “biglietto da visita” rappresentato
dal parcheggio delle Grotte e delle attività commerciali; i pochi abitanti
rimasti, preoccupati di perdere, con gli espropri per pubblica utilità, un
annesso, l’orto, o la bancarella.
Penso che il raddoppio della tratta ferroviaria sia necessario.
Consapevole che qui non ci sarà mai, per conformazione
territoriale, l’Alta Velocità. Ma con la speranza che si possa arrivare, con la
disponibilità di più treni, a quella “Metropolitana di Superficie”, su cui la
Provincia di Ancona scommise oltre vent’anni fa; ma della quale ad oggi sono
stati realizzati solo i rialzi delle banchine di accesso ai treni nelle
stazioni tra Ancona e Fabriano.
Questo obiettivo, avrebbe più valore degli sbandierati 15 minuti in
meno (citati addirittura nel testo del PNRR) sulla percorrenza dell’intera
Ancona-Roma.
Perché poi, il treno deve essere un servizio pubblico per la
mobilità quotidiana delle persone, e non un capriccio per i turisti, come la
buffonata del trenino storico tra Pergola e Fabriano.
Però, dal progetto si capisce che si è già persa, a meno di revisioni,
un’occasione, la più importante: quella di mettere completamente in galleria, tra
Serra S. Quirico e Genga, tutti e due i binari.
Verranno realizzati due nuovi binari, che alterneranno tratti in
galleria ad altri a cielo aperto; mentre quello attuale verrà dismesso, con
l’ipotesi di rinconvertirlo a ciclopedonale. Questo ultimo aspetto è
indubbiamente importante: scomparirà il passaggio a livello di Pontechiaradovo,
che per diverse ore al giorno, tali sono i tempi giornalieri delle chiusure,
preclude il continuo transito, nell’eventualità anche di emergenze, agli
abitanti di Palombare e Mogiano. Inoltre, la ciclopedonale al posto del binario
dismesso, potrebbe rappresentare una parziale compensazione alla pluriennale
menzogna degli amministratori locali e regionali, sul ripristino della antica
Strada Clementina.
Togliere dal sottobosco i treni, sarebbe stato lungimirante anche
a livello di tutela ambientale e prevenzione catastrofi.
Non va dimenticato, che l’incendio di Genga del giugno scorso, che
per quattro giorni ha bruciato centinaia di ettari area boschiva protetta, e
messo in pericolo diverse abitazioni, è stato originato dalle scintille del
freno rotto di un treno merci lungo due chilometri di binario.
Considerato poi, che per interessi economici privati si consente
qui di forare le montagne almeno fino al 2048 con le cave, sarebbe stato
eticamente giusto stavolta, per realizzare un’opera pubblica, fare delle
gallerie capaci di togliere i treni all’aperto.
Si ripete lo stesso errore della Quadrilatero (risparmio
economico? condizionamenti politici?): tra Serra S. Quirico e Valtreara, tutte
e due le carreggiate dei due sensi di marcia, sarebbero potute stare
tranquillamente in galleria sotto il complesso del Revellone.
Facendo così davvero “respirare” la valle.
Perché poi, il paradosso di alcune letture localistiche di
quest’opera, è quello che ritiene essere il raddoppio ferroviario, l’intervento
che deturperà e devasterà, a livello naturalistico e paesaggistico, una valle
incontaminata ed incantata.
Questa non è nè l’ipertecnologica Silicon Valley, nè la scozzese Valle di Glencoe,
ma un territorio che da decenni è stato devastato, e per scelte locali: da un
manifatturiero pesante ed invasivo; dalle cave; dal prelievo di acque minerali
dal sottosuolo per fini privati; dai bidoni di cromo esavalente sotterrati a
Valtreara; dallo svincolo Quadrilatero di Gattuccio-Valtreara voluto così dalla
politica locale; da abusi edilizi ed incompiute che sono già archeologia
industriale come la Nave di Colleponi, le nuove Terme di San Vittore, l’oramai
baraccopoli di Lago Fossi, la discoteca Pulvisia, la nuova caserma dei Carabinieri
a Camponocecchio. E dai rifiuti domestici, compresi materassi, pneumatici,
elettrodomestici, abbandonati nei boschi.
Lo stesso territorio, quello gengarino, che giusto 25 anni fa si è
opposto ferocemente all’istituzione del Parco. La cui Municipalità, oggi è la
sola, da Fabriano a Staffolo, a non far parte dell’Unione Montana Esino
Frasassi.
Un conto è essere giustamente attenti e preoccupati per l’impatto
della ferrovia, specie se si è un abitante di Palombare e Mogiano; altro è
raccontarsi ancora una fiaba sulla storia anche recente di queste zone.
Anche perché, a vedere il progetto del raddoppio ferroviario, la
zona dell’attuale stazione di Genga, e del parcheggio ed area commerciale delle
Grotte di Frasassi, verrà comunque migliorata e risanata, considerato che da
anni le bancarelle e la biglietteria sono in area esondabile.
Perfino sotto la zona montuosa dell’Eremo di Grottafucile, dove il
nuovo binario correrà per un trecento metri circa all’aperto, dal progetto
sembra palesarsi una situazione migliorativa rispetto all’attuale; considerato
che nessuno ancora, per quanto di norma previsto, a decenni dalla chiusura, si
è fatto carico della bonifica e ripristino ambientale della cava di calcare
sotto l’Eremo.
Anche il cosiddetto turismo slow,
non verrà penalizzato. I climber potranno continuare ad arrampicare (meglio
però i tanti rispettosi dell’ambiente, che quelli che tagliano la roccia con il
frollino per creare scale di accesso alle pareti, o che lasciano nel bosco e
sui sentieri le scatolette di tonno sott’olio o altri incarti di merende).
“La locomotiva ha la strada segnata”, canta De Gregori su Buffalo Bill. Allora
l’obiettivo vero della concertazione istituzionale, dovrebbe essere che i binari
fossero in messi tutti in galleria. Poi i cantieri dovranno avere tempi certi, con
il controllo e monitoraggio ambientale non lasciato alla buona volontà delle
imprese. Il diritto alla qualità della quotidianità di chi vive a ridosso delle
aree di intervento, non dovrà essere lasciato alla protesta o reclamo dei
singoli, ma garantito dalle Istituzioni, e preteso dalle imprese che la
movimentazione dei mezzi non replichino i disagi già creati agli abitanti dalla
Quadrilatero. Infine, le compensazioni e mitigazioni paesaggistiche non dovranno
essere confuse con qualche piantumazione sporadica.
Queste sono i compiti che spetta al ruolo delle Istituzioni locali
e territoriali.
Riusciranno se questo processo lo governeranno, anziché prenderne
atto o peggio subirlo; e se l’obiettivo sarà quello di condizionare il progetto
nella sua interezza e complessità, anziché mediarlo nelle sue parzialità di
volta in volta, a seconda di chi protesterà di più.