Si conoscono le Grotte di Frasassi, ma non
si associa quasi mai il Comune di Genga a questo miracolo della natura. Di
fatti non è semplice, perché Genga non è un unico borgo abitato, ma ben 38 tra
frazioni e località che circondano le Grotte di Frasassi; 1797 abitanti,
censisce l’Istat nel 2016, sparsi in 73,16 kmq. La tradizione popolare separa
in due il territorio comunale, definendo due nuove etnie di abitanti: i
“caccetti” e i “prosaioli”; i primi quelli che stanno sopra la Gola di Frasassi
in direzione Umbria, i secondi quelli che stanno sotto la Gola di Frasassi,
verso la costa adriatica. A Genga si è lavorato nel Novecento per gli
elettrodomestici dei Merloni, poi dal 1974 per tutte le attività logistiche, di
accoglienza e di ricettività che ruotano attorno alle Grotte. A dare
occupazione anche il Salumificio di Genga, che trasforma buoni prodotti
norcini, e l’acqua minerale Frasassi di Togni, che da qualche tempo s’è
lanciato anche nella produzione di buoni vini. Parecchi se ne sono anche andati
lungo il Secolo, chi a Roma, chi a Terni alle acciaierie, chi in Belgio e in
Francia. Nel territorio politica e istituzioni, da sempre derivati dei
frigoriferi e delle lavatrici, hanno voluto far credere che il solo valore da
perseguire fosse quello della saccoccia; quindi anche il magnifico paesaggio
delle Gole della Rossa e di Frasassi è stato immolato alla dea pecunia,
che ha fatto nel tempo adepti fedeli a destra, al centro e a sinistra:
inquinamento industriale astutamente sotterrato e riversato in fiume, attività
estrattive che hanno ridisegnato le sagome naturali dell’Appennino e, per
finire, la Quadrilatero con il raddoppio della statale 76, che sta finendo di
devastare la valle, per riproporre tragicamente un’idea di sviluppo sepolta per
sempre dai tempi della crisi della Lehman Brothers. Il moralismo delle
Istituzioni e della politica ha voluto fare dal 1997 di questo territorio un
parco regionale; che è in realtà un finto parco, dove non ci sono limiti alle
grandi opere, alle attività estrattive e alla caccia. Qui però, nonostante
tutto, ci vengono da tutto il mondo per le Grotte, per le escursioni e ad
arrampicare lungo le Gole; in alcuni punti non si può fare climbing perché,
dicono le Istituzioni preposte, l’attività disturba l’Aquila Reale di Frasassi
che nidifica; però, secondo le stesse preposte Istituzioni, il nido dell’Aquila
Reale non viene messo in pericolo dall’esplosione a cielo aperto delle mine di
cava a pochi metri. Genga è la terra del Papa, il 252° Vescovo di Roma, Leone
XII nato qui nel 1760, che non fu in pontificato un esempio di virtù
evangeliche e cristiane. Però a Leone della Genga qui ci tengono molto, oltre
alla rituale toponomastica e ad un’orrenda fusione bronzea dono dei Rotary, gli
hanno dedicato in anni recenti anche una mela autoctona che cresce qui per i
monti, un presidio di biodiversità: la Mela del Papa. C’è stato, prima di Leone
un altro Papa, non autoctono, il 246° Vescovo di Roma: Clemente XII, che ha
avuto a che fare con questi territori; nel 1733 fece costruire la prima strada
di collegamento tra il porto di Ancona e la Flaminia, dal capoluogo dorico a
Fossato di Vico, la strada Clementina, oggi SS76, che fino a qualche decennio
fa, prima delle gallerie, attraversava la Gola della Rossa risalendo tutto il
corso dell’Esino. Dalla vecchia Clementina ancor oggi, dentro la
Gola della Rossa, partono sentieri escursionistici strepitosi; uno porta in una
quarantina di minuti al millenario eremo di Grottafucile, fondato ed edificato
da S. Silvestro e dai suoi monaci. Falcioni è una delle 38 frazioni del Comune
di Genga, quella che sta lungo la Clementina, sopra la sponda destra dell’Esino.
Siamo quaranta abitanti, bambini, adulti, vecchi, italiani, albanesi e francesi
e, per buona parte dell’anno, due lussemburghesi con radici gengarine. Tutti
hanno l’orto e c’è chi c’ha pure un pezzetto di bosco; ci sono cani, gatti,
capre, oche e galline. C’abbiamo anche una chiesetta dentro una casa storica,
dedicata a S. Giovanni Battista; solo che il parroco polacco della frazione
confinante, figlio della Chiesa del Papa amico di Pinochet, si rifiuta di
celebrarvi Messa alla festa del patrono il 24 giugno perché, dice, è un
immobile privato; e qui la gente, specie i più anziani, sono tutti incazzati.
Qui fino ai primi anni Novanta c’era una macelleria storica, in cui si facevano
decine di chilometri per venirci a comprare il castrato. Qui il terremoto c’era
arrivato pesantemente già nel 1997; poi alcuni hanno ricostruito bene, altri
riempiendo qualche crepa e basta, altri se ne sono fregati perché era la casa
dei nonni o della prozia e l’hanno lasciata così. Poi il terremoto è ritornato
forte nei giorni scorsi e di danni ce ne sono stati molti, specialmente là dove
erano prevalse superficialità, trascuratezza e abbandono. Domenica 30 ottobre
alle 9 stavano già qui il sindaco, il vicesindaco, i carabinieri e i vigili
urbani a sincerarsi di quello che era successo e ad ascoltare le persone.
Quattro case inagibili con famiglie sfollate, quattro transennate e una
puntellata; diverse parzialmente agibili. Anche la chiesetta ha buscato
fortemente e l’hanno transennata. La strada provinciale della Gola di Frasassi,
quella che porta alle Grotte, era già stata chiusa dopo le scosse di mercoledì
26, e rimarrà chiusa per molto, per verifiche, controlli, rimozione massi e
detriti caduti dalle falesie. Dopo il terremoto siamo tutti un po’ diversi,
alcuni che non si parlavano per qualche vecchia ruggine adesso si parlano;
altri che si salutavano e basta si sono ritrovati a raccontarsi un po’ delle
proprie vite. Alcuni anziani la sera vanno a dormire in una sorta di baita di
legno sopra il fiume, poi la mattina tornano su e riprendono le proprie
attività. Un’ultraottantenne continua a dormire in macchina, mentre il figlio e
il nipote dormono dentro casa. La strada Clementina è stata la via di fuga
dalle case, il punto di ritrovo provvisorio e di appello di dove fosse quello e
quell’altro dopo le scosse. Adesso stiamo qui, un po’ più umani e assai
impauriti. Eppure la mattina quando ti svegli ed esci di casa, e oltre quella
casa puntellata scorgi il Monte Revellone con le sue creste, torna la
meraviglia per questi posti, per questo paesello di persone e storie così
diverse. Che curioso per me, figlio della città dell’Imperatore di Svevia,
Federico II, aver scelto di venire a vivere nel territorio di due Papi… Però
questo è l’approdo di un cammino, di scelte fatte, di idee perseguite, di cose
da voler ancor fare. Qui c’è quello che Franco Arminio chiama “nuovo umanesimo
delle montagne”. Qui ci sono battaglie da fare per i beni comuni, nuove
pratiche di politica e democrazia da sperimentare. Qui c’è spazio ancora per
far capire che non si vive più di soli scaldabagni e cappe e per la saccoccia,
ma si possono sostenere storie ed esperienze, molte giovani, che disegnano uno
stile di vita differente, più sobrio e più felice al contempo. Per affermare,
usando le parole del paesologo Arminio “che il tempo della merce è finito, sta
arrivando il tempo del sacro” Qui c’è quello che cercavo. Qui c’è quello di cui
una civiltà, una Nazione, se è tale, non può fare a meno. E questo è assai
differente dalla preoccupazione di essere dimenticati. Noi restiamo qui, a
Falcioni, al km 38 della strada Clementina, dopo la Gola della Rossa e sopra il
fiume. Qui, vicino alle Grotte di Frasassi e fuori dal cratere.
* scritto il 6 novembre 2016 (*)