“La
guerra alla Strategia dell’Abbandono è finita. L’Abbandono ha vinto”. Si
potrebbe, nel fare un bilancio di questi tre anni, parafrasare così un pensiero
del repubblicano Ronald Reagan, che ebbe ad affermare nel 1988, seppur in
tutt’altro contesto, “La guerra alla povertà è terminata. La povertà ha
vinto.”; concludendo anch’egli anni dopo, un pronunciamento del 1964 del
Presidente democratico Lyndon Johnson. E già, la situazione a tre anni dal
terremoto senza toponimo, definito vagamente in termini areali “del Centro
Italia”, appare inequivocabile. Questo non solo perché ci sono ancora
cinquantamila persone fuori di casa, ottocentomila tonnellate di macerie ancora
sul posto, un’idea di ricostruzione ferma a poche decine di pratiche edilizie
presentate, la certezza che diversi paesi non saranno mai ricostruiti. Ma
soprattutto perché, riguardo ad un processo già in atto da tempo sull’Appennino,
di progressivo abbandono di carattere demografico, politico, sociale,
economico, il terremoto ha completato, anticipando i tempi, il lavoro “sporco”
di altri. La politica nazionale, tutta ed eterogenea, tre governi con in
gestazione il quarto, insieme alle dinamiche istituzionali regionali, ha fatto
al meglio la propria parte. Si, possiamo constatare, oltre ogni frase ad
effetto e slogan, che stavolta li hanno lasciati soli per davvero. A parte
visite e sopralluoghi di rito, in occasione di anniversari, campagne
elettorali, cambi di governi e commissari, poi le popolazioni sono rimaste sole
in compagnia di un impianto normativo spaventoso ed irriformabile, e prigioniere
di una burocrazia che, dopo poco tempo, sfiancherebbe anche il professionista
più abile e paziente. Al contrario, invece, la volontà e la mediocrità delle
attuali classi dirigenti, ha favorito il veloce planare sull’Appennino dei
soliti rapaci e voraci predatori del caso. Pronti a spolparsi il poco che
resta, della qualità, delle risorse e della storia, di un territorio e del suo
paesaggio. Già a pochi mesi dalle catastrofiche scosse, la Magistratura, obtorto collo, è dovuta subito entrare
in azione, per indagare sulle ipotesi di reato più classiche in queste
situazioni; con la novità, rispetto ad altri casi, del caporalato e del lavoro
nero. Ma i segnali di ciò che sarebbe avvenuto
c’erano tutti, sin dall’inizio. Il prolungarsi dello Stato di Emergenza (scade
il prossimo 31 dicembre), che ha sì nell’immediato messo in sicurezza e
popolazioni, ma ha consentito lo smembramento e l’allontanamento definitivo di
gran parte delle comunità dei paesi colpiti; i ritorni nei villaggi SAE, molti
mesi dopo, ci danno dati che in diversi casi, ha visto dimezzarsi la
popolazione residente. La scelta sciagurata, almeno nella Regione Marche, di
voler risolvere i problemi acquistando nuove abitazioni, rilevate spesso dall’invenduto
della bolla immobiliare marchigiana, e da acquisizioni fallimentari di banche,
per trasformarle in abitazioni di edilizia popolare pubblica per i terremotati;
ubicate perlopiù fuori cratere. Il fatto emblematico che a Castelluccio di
Norcia prima si sia in poco più di un anno costruito un centro commerciale, il
Deltaplano, e solo poi consegnate agli abitanti del paese distrutto, la
ridicola quantità di otto casette di plastica solo qualche mese fa. I villaggi
SAE, che aldilà della qualità strutturale e dell’inusitato consumo di suolo,
realizzati senza alcun spazio di socialità, di relazione, di incontro. Box
dormitorio senza servizi, tipici dei campi profughi, nei quali da qui a poco
tempo rimarranno solo gli anziani e i più poveri. La resurrezione, più propria di un film di Romero che delle Sacre Scritture, altro che i concerti sui prati di RisorgiMarche, di vecchi e
bolliti gruppi industriali del capitalismo oligarchico marchigiano, che sotto
il caritatevole abito delle fondazioni di ogni tipo, hanno aperto le porte alle
multinazionali dell’agrifood sui territori colpiti: Ferrero, Loacker,
Granarolo, Cremonini, solo per fare qualche nome. Con il plauso, accucciolato e
devoto, della politica, ma anche di associazioni di categoria. Operazioni queste,
che dal punto di vista etico, non hanno nulla di differente da quello che
Bolsonaro sta facendo per le cricche mondiali delle bistecche in Amazzonia. La
improbabile ed impossibile riconversione al turismo di massa, modello
Disneyland appenninica, di un territorio vocato da sempre ad un certo tipo di
agricoltura e pastorizia, ed al manifatturiero; con iniziative e processi che
stanno convogliando e sprecando fiumi di denaro pubblico. O meglio, destinato
alle solite saccocce dei cerchi magici dell’imprenditoria culturale regionale,
da tempo un po’ sofferenti. Questo e molto altro, che per brevità tralascio,
conferma che se un terremoto è un dramma ed una sciagura per chi ne è vittima,
per molti è come il biglietto vincente del SuperEnalotto, la sestina
supermiliardaria che esce dopo anni. Ma, come nel gioco d’azzardo statale, nel
caso del post terremoto, non c’è solamente quello che fa “sei”; ma anche tanti
che fanno un modesto “due” o addirittura “1 + superstar”. E, lo penso con
profonda amarezza ma con consapevole realismo, è questa moltitudine di piccoli
e mediocri occasionali vincitori, per restare all’esempio della lotteria, che
ha consentito, anche questa volta, di lasciare alla Strategia dell’Abbandono di
calciare l’ennesimo rigore a porta vuota. Da quello che si inventa ad hoc il progettino turistico solidale, al
terremotato fuori cratere che percepisce da tre anni il CAS e fa finta di
essersi traferito da un’altra parte, ma sta sempre nella casa inagibile, fino
al sindaco del paese di qualche centinaio di abitanti, che grazie al terremoto
fa un’impensabile carriera politica; e un’infinità di molte altre piccole
furbizie che vedono accumunati finti terremotati e cittadini senza problemi. In
questi tre anni, a dire il vero però, ci sono state e ci sono, belle, significative
e disinteressate esperienze di resistenza e contrasto alla Strategia
dell’Abbandono, da parte di movimenti di base, associazionismo locale, singole
persone; ma tutte risultano essere marginali e minoritarie, soffocate dalle
gran casse social e media dei megafoni istituzionali e
politici. Esperienze e persone additati subito provocatoriamente come haters, “populisti” e “gentaccia”, per
quanto hanno provato a fare, e a raccontare una storia diversa da quella
istituzionale e commerciale. E’ mancato purtroppo, in conseguenza della
tragedia, quello scatto in avanti che poteva delineare per questa parte di
Appennino, un modello nuovo e diverso di vita e lavoro su questo territorio;
partendo dalle radici e da vocazioni storiche, elaborandole ed innovandole, in
armonia con il territorio e con il paesaggio, mischiandole con nuovi saperi e
tecnologie, e con nuove forme di cittadinanza e di residenzialità. Ma per
questo sarebbe servito un percorso corale, partecipato, dialettico, in cui la
politica avrebbe dovuto avere lo spessore e la volontà per guardare al di là
delle cabine elettorali e delle singole carriere, sapendo guidare una
popolazione sofferente, lacerata e incerta sul futuro, ma in gran parte ancora
tenace e disponibile ai sacrifici. Invece, la verticalità e l’esclusività delle
decisioni, un’applicazione pecoreccia dei “pieni poteri”, assieme alle
ambizioni, furbizie, egoismi, e in alcuni casi aderenze col malaffare, della
politica nazionale e locale, li ha con premeditazione lasciati soli, al tutti
contro tutti, al si salvi chi può, al giorno per giorno, alla mercè e ai ricatti di miserabili
pretoriani politici di caseggiato, a sindaci spesso mediocri, dai comportamenti
tipici dei Raì's di periferia. E’ mancato,
collettivamente, nella politica e non solo, quel “senso morale” che può tenere
la barra a dritta nelle situazioni apocalittiche, evocato dal protagonista di
“Cuore di tenebra”. La partita, a mio
avviso, dopo tre anni, può definirsi conclusa. Senza macth di ritorno, e senza
rivincite. Un vero peccato, per la bellezza di questi territori e per la
generosità e coraggio di gran parte dei suoi abitanti. Agli haters e alla “gentaccia”, e a tutti quelli che hanno perduto il campionato, e che
restano qui sull’Appennino, rimane, come in tutte le vicende resistenziali,
oltre che il dovere della narrazione e della denuncia, l’azione di incursione e
il sabotaggio. La Strategia dell’Abbandono è già pronta ed iniziare un nuovo
campionato da qualche altra parte. La storia sismologica dell’Italia, e la
fragilità geomorfologica del territorio nazionale, ci insegna che è solo
questione di tempo. Se all’alba di quel mattino del 24 agosto di tre anni fa,
avessimo avuto tutti, ma proprio tutti, comune coscienza e consapevolezza, come
scriveva Michele, un caro amico, sul suo profilo facebook poche ore dopo la
scossa 6.0, che “quando di notte la terra
si muove intensamente, all’alba ti ricordi meglio che sei suo ospite, talvolta
custode quando concesso, ma di certo non padrone o proprietario”, forse la
partita sarebbe finita, per la prima volta, diversamente.