“Portarci
il corpo”. L’espressione e l’intenzione, che recentemente lo scrittore Sandro
Veronesi ha lanciato per quanto riguarda il tema delle migrazioni e degli
arrivi dal Mediterraneo, ripropone un tema più generale. Quello
dell’importanza, riguardo a ciò che accade in un territorio, per capirne
determinati fenomeni a fatti, di essere lì, viverci, o portarci se stessi. E’ con
questo atteggiamento, pur conoscendo la questione nel merito e avendola
affrontata in incontri pubblici, ma sempre a distanza e mai con chi ci abita, che
ho deciso di “portare il mio corpo” lungo il percorso che avrà il Gasdotto SNAM
nelle Marche e in Umbria, che dal Salento, dopo aver attraversato dieci Regioni
per 687 km, arriverà al Nord. Un breve viaggio lungo il tubo, all’interno di
parte dei 167 km del tratto Sulmona-Foligno. Da Serravalle di Chienti nelle
Marche, lungo l’Appennino, fino a Cascia in Umbria.
Nelle
Marche se ne parla poco. C’è stato, e c’è il terremoto, che ha sconquassato le
aree montane delle Province di Macerata, Fermo, Ascoli Piceno e parte di quella
di Ancona. Siamo ancora nella fase dell’emergenza; le persone sono prese da una
quotidianità lacerata e problematica, e della ricostruzione non c’è ancora una
minima traccia. Il gasdotto nella Regione attraverserà due Comuni, Serravalle
di Chienti e Visso. Insieme poco più di duemila abitanti e circa 200 chilometri
quadri di superficie. Poco, si dirà. Certo, almeno in termini demografici. Ma comunque
un territorio molto esteso che attraversa un lungo tratto di Appennino. Alcune
reti dei movimenti di base e sociali hanno già promosso incontri, partecipati
peraltro, ma tutti dentro dinamiche che non raggiungono le popolazioni. E il
giornalista Mario di Vito e la scrittrice Loredana Lipperini, rispettivamente
su Il Manifesto e sul proprio blog, hanno raccontato un fatto che recente che,
nelle Marche, potrebbe essere messo in relazione con il gasdotto. Ovvero, la
donazione di cinque milioni di euro, ricevuta dalla Regione Marche, con tanto
di atti amministrativi ed incontri istituzionali nell’estate 2017, da parte
della compagnia petrolifera russa Rosnef, per la ricostruzione dell’ospedale di
Amandola, nel fermano, distrutto dal sisma del 2016. Compagnia, di cui
risultano, mai smentite, joint venture con la Snam da diversi anni.
Arrivo
a Serravalle di Chienti. Qui il terremoto del 2016 ha segnato meno, ma ci sono
ancora i segni di quello del 1997, l’epicentro del 26 settembre con magnitudo
5.4 fu a Cesi, una frazione di Serravalle. “Qui in Comune non è arrivato ancora
niente, anche se sappiamo. Però qui in paese non se ne parla”, mi dice con
gentilezza l’impiegato dell’Ufficio Tecnico del Comune. La piazza centrale è
assolata e l’aria è asciutta; riconosco seduto ad un tavolino del bar Venanzo
Ronchetti, ex Sindaco di Serravalle; amministratore durante il terremoto del
’97 e la successiva ricostruzione. Ci conosciamo, è un piacere rivederlo. “Io
lo so, certo, del gasdotto, e dove passerà. Ma qui non sa niente nessuno, non
se ne parla; se entri al bar, qui si parla solo di Salvini”. Da Serravalle
salgo a Colfiorito, l’altopiano delle patate rosse. Quando, fino a pochi anni
fa, non c’era la strada veloce in galleria della Quadrilatero, per andare da
questa zona delle Marche in Umbria, si saliva per la vecchia statale 77 fin
quassù, si attraversava la piana, e si scendeva a Foligno. Adesso, la strada
nuova taglia fuori tutto, compresi “i patatari”; che prima trovavi uno dopo
l’altro a vendere patate, legumi e formaggio con macchine e furgoncini ai bordi
della strada, e che adesso non trovi più. Il traffico passa tutto sotto i monti
in galleria, e la patate sono costretti a venirle a vendere a decine di
chilometri di distanza da Colfiorito, ai bordi delle strade provinciali in
pianura. “La strada nuova è una gran cosa, perché Colfiorito è la prima
uscita”, mi dice la titolare del primo bar all’inizio della piana. “Si, ma la
prima dall’Umbria, e la strada arriva a Civitanova Marche sull’Adriatico – le
rispondo, e chiedo – ma i clienti sono di più o meno di prima? “Ah, dipende –
mi risponde adesso meno entusiasta – certi giorni non si vede proprio nessuno”.
Non sa che lì dietro alla piana ci passerà il gasdotto; gli spiego un po’ di
che si tratta. Anche la mamma molto anziana, che ancora dà una mano dietro il
bancone, ascolta molto attenta. “Non può essere mica vero – commenta la barista
– qui è tutta zona naturale, mica ci possiamo mettere il gas sotto? E se
esplode? Ci sono le leggi e non gli daranno i permessi”, chiude molto
speranzosa. Le rispondo dicendo che, al contrario, ci sono leggi e permessi che
consentono proprio di farlo.
Strada
facendo, nello spostarmi tra Colfiorito e Cesi, dove vedo ancora sparse qua e
là le casette di legno del terremoto del 1997, alcune tutt’ora palesemente
abitate e vissute, telefono alla ViceSindaca di Serravalle di Chienti, Isabella
Piermarini, che di mestiere è archeologa. Mi conferma che ancora in Comune non
sono arrivati documenti o richieste di convocazione di Conferenze dei Servizi,
ma lei sa del gasdotto. E’ favorevole, e anche se brutto paesaggisticamente, la
ritiene un’opportunità di lavoro e per la ricerca archeologica (opere come
queste prevedono campagne di scavi e rilevamenti preliminari lungo le aree del
tracciato, ndr). Mi racconta che anni fa, da archeologa, ha lavorato per i
sondaggi della superstrada che da Serravalle va verso Colfiorito, e che più
recentemente ha condotto campagne di scavi lungo il passaggio del metanodotto
“Cellino – Teramo – San Marco”, della S.G.I s.p.a. (Società Gasdotti Italia).
“Anche rispetto alla superstrada qui sotto, c’erano forti perplessità da queste
parti – mi dice – ma poi tutti hanno visto che è un’opera positiva, adesso a
Colfiorito non ci passa più tutto il traffico di prima, ma c’è solo il turismo
di qualità”. Secondo lei, il gasdotto “crea un servizio”. Le dico però che
questo è un tubo di solo trasporto del TAP pugliese fino all’Emilia – Romagna,
e che non è una rete di distribuzione territoriale. Mi consiglia anche di fare
attenzione alle bufale che girano da queste parti sul gasdotto, relative alla
pericolosità sismica e alle paventate possibili esplosioni.
Chiusa
la telefonata, lasciandomi la piana alle spalle, arrivo a Cesi, frazione di
Serravalle di Chienti, oggi circa 20 famiglie ad abitare il piccolo centro
ricostruito dopo il sisma di 21 anni fa; ma molto di quella storia è ancora
viva nei piccoli villaggi di legno, dove furono realizzate le antesignane delle
contemporanee SAE (Strutture Abitative di Emergenza), e che come già si
prefigura anche per i terremoti del 2016, sono diventate “strutture abitative
eterne” (1).
La
signora Marika, titolare del piccolo ristorante fuori paese, anch’esso ricavato
in una struttura modulare del tempo, mi spiega che queste casette di legno
vennero allora poi vendute dal Comune ai chi ne era interessato, ed alcuni le
usano oggi come seconda casa, ma altri addirittura come abitazione principale.
“L’acquedotto? – mi chiede Marika – Io non so niente”. “No signora – le
rispondo - il gasdotto”, e gli racconto un poco. “Allora ci porteranno il
metano – mi dice – che qui non c’è” “No”, rispondo e le racconto che il tubo fa
solo trasporto tra la Puglia e l’Emilia Romagna”. “Allora – chiosa un po’
rattristata – a noi ci faranno solo del male”.
E
si, in questa parte d’Appennino, che non conoscevo affatto, di schiena a
Colfiorito e ai Sibillini, sgusciando il tubo proprio come un’enorme anaconda
tra i confini di Marche ed Umbria, porterà dei danni irrimediabili al
paesaggio, considerata la complessità dell’infrastruttura e delle sue opere
accessorie, checché ne pensi la cortese ViceSindaca di Serravalle di Chienti.
Qui, lasciando Cesi, e dirigendosi tra le frazioni umbre di Foligno, Fraia e
Popoli, piccoli centri abitati da qualche famiglia, si trova ancora davvero un
paesaggio incontaminato, vocato ad una agricoltura di alta quota e
all’allevamento brado. Le rotoballe di questo inizio luglio, disposte sui campi
di foraggio appena tagliati, testimoniano la qualità ambientale e rurale di
questo territorio agricolo. Il vecchietto che s’affaccia a Popoli dal balcone
di casa, per vedere chi potrà mai essere questo (cioè io) che s’aggira per il
piccolo borgo turrito sotto il sole del primo pomeriggio, mi dice che lui del
gasdotto non ha sentito mai parlare. “Tanto tempo fa – mi racconta – c’avevano
detto che c’avrebbero portato il metano, ma poi non s’è visto più nessuno”. E
dell’intenzionalità di tale infrastruttura domestica, a Popoli, a testimonianza
c’è rimasta almeno una palina con il cartello; il tutto provato dal tempo e
dalle stagioni.
E
da questa Umbria di confine, rientrando nelle Marche e arrivando a Civitella,
capisci.
Capisci che il gasdotto lo faranno. E
l’hanno pensata proprio bene, nel farlo passare da queste parti. In un
territorio di margine dove, fatta eccezioni per piccoli abitati di un pugno di
persone, non c’è nessuno. E, cosa non secondaria, non ci passa nessuno, se non
chi ci abita o chi si sbaglia strada. Non sono questi i luoghi del turismo, di
nessun tipo: di massa, “slow”, responsabile, come viene ora classificato pur di
giustificare qualsivoglia intervento sul paesaggio. E, di conseguenza,
qualunque scempio ambientale verrà praticato, non lo vedrà nessuno, né
tantomeno qualcuno controllerà e denuncerà. Quali sono le comunità da queste
parti che si opporranno? Che si mobiliteranno? Quali gli amministratori locali
che si batteranno per difendere il loro territorio?
Rifletto
sututto questo mentre oltrepasso le poche case della frazione di Rasenna, nel
Comune di Visso, per ritornare dopo qualche chilometro in Umbria, nel piccolo
borgo di Piaggia, Comune di Sellano, dove paradossalmente nella bacheca di
legno all’inizio del paesello, mischiato tra l’annuncio di una sagra e un
manifesto da morto, trovo appiccicato il volantino di un’informativa del
Comitato contro il gasdotto. Che nessuna popolazione avrà probabilmente mai
letto, considerato che le case che danno l’idea di essere tutt’ora abitate sono
un paio. Rinfrancato da questa pulsione di civismo e democrazia trovata lì in
mezzo all’Appennino, rientro nelle Marche, e scendo a Chiusita, altra frazione
del Comune di Visso, dove l’unico abitante che incontro mentre sta letamando,
in una lingua mista tra l’italiano e lo slavo, mi fa comunque capire che del
gasdotto non sa niente, ed anche come arrivare fino a Ponte Chiusita, in piena
Valnerina.
Qui,
la strada, devastata dalle frane e dallo scostamento del letto del Nera il 30
ottobre 2016, da qualche mese è stata messa in sicurezza ed ha ripreso la sua
funzionalità. Non ci ero più passato da quei terribili giorni per la
provinciale che da Ponte Chiusita, in una ventina di chilometri, porta a
Norcia. Più o meno parallelo alla strada ci passerà il gasdotto. Ora,
percorrendola di nuovo, chiunque capirebbe una cosa: che il terremoto di Norcia
ed Amatrice, non è stato, come mediaticamente viene ancora spacciato, solo di
Norcia ed Amatrice. Ma anche di tutto quello che sta, nel nostro caso
specifico, intorno a Norcia. Quel che resta della Basilica di San Benedetto, oggi
sta lì intubato, come un paziente nell’UTIC di un ospedale, accudito a vista
dal piglio severo della statua del Patrono D’Europa. Norcia è conciata male, ma
ha retto. Le piccole località, e molta dell’edilizia delle campagne, non ci
sono più, sostituite dalle SAE, come a Preci, Campi, Ancarano, o
definitivamente in via di abbandono, come Ocricchio, Civita, Castel Santa
Maria, Roccanolfi, Ospedaletto. Ecco, in questo “via crucis” della tettonica
appenninica, quella con il massimo grado di rischio simico del Paese, ci
passerà il tubo, 1,20 metri di diametro, ad una profondità tra i 4 e i 5 metri,
con il gas pompato a 75 atmosfere, con sbancamenti di 40 metri.
Arrivo
a Norcia, conosco Arcangelo De Angelis, nursino, attivista del Comitato “Norcia
per l’Ambiente”. Loro si sono attivati già da più di dieci anni, dal 2004. Si
sono battuti con manifestazione eclatanti, come quella del giorno
dell’Immacolata del dicembre 2005, quando portarono delle bare dentro la Sala
Consiliare di Norcia. Hanno anche ottenuto nel 2007, la modifica di parte dei
19 chilometri del tracciato che attraversa questa zona dell’Umbria, quella che
passava dentro le Marcite, un’area storico-ambientale protetta. Il Comitato è
composto da 40/50 attivisti. “Qui la gente lo sa che faranno il gasdotto – mi
dice Arcangelo – a livello informativo abbiamo lavorato molto. Però – continua
– qui si pensa esclusivamente al turismo, da sempre. Fanno finta di non
saperlo… Poi, dopo il terremoto del 2016, oggi la gente ha tutt’altri pensieri
e priorità personali e familiari, e al gasdotto non ci pensa proprio; ma le
cose non si fermano certo perché c’è stato il terremoto”.
Salgo
in macchina con lui, che mi porta a vedere un po’ di cose che riguardano il
tubo. Mi parla, guidando, di Norcia, di come funzionano un po’ le cose da
sempre da queste parti, a prescindere dalle stagioni della politica. Del
gasdotto, che è stato progettato considerando la sismicità storica
dell’Appennino fino al 2004, quindi senza prendere in considerazione i sismi
dell’Aquila, dell’Emilia, del 2016 e del 2017 vicino Campotosto in Abruzzo. “E’
vero, corretto scientificamente, che la scossa del 30 ottobre 2016 è stata
classificata mediamente 6.5 Richter, ma – mi precisa – quella mattina la
strumentazione locale a Poggio Capo di Colle sopra Ancarano, ha segnato una
magnitudo di 7.1…” Ci sono passato arrivando a Norcia, tra Campi e Ancarano, e
i segni distruttivi di quello che sismologicamente mi ha raccontato Arcangelo,
si vedono. “Considera – aggiunge – che il progetto del gasdotto è basato su un
valore dell’accelerazione dell’onda sismica, che è meno della metà di quello
del 30 ottobre 2016”. Arriviamo a Casali di Serravalle, poco fuori la città di
San Benedetto. Mi indica sul terreno dove correrà con precisione il gasdotto, a
fianco di un ristorante con un bel parco. “Mah – gli dico – viste le condizioni
del ristorante che è completamente inagibile, non avranno neanche tante noie
con gli espropri; anzi, al proprietario gli fanno un piacere…”. Mi indica il
crinale del colle dall’altra parte della provinciale per Spoleto. “Guarda in
mezzo a quei due pioppi, come se fossero un traguardo – mi indica – il gasdotto
da Ospedaletto che sta su dietro, scende lungo il versante e passa qui sotto i
nostri piedi. La faglia del 6.5 Richter sta a un chilometro a mezzo da qui.”
Poi mi fa girare di spalle e mi indica un monte opposto alla valle, Monte
Mattone a Campofermo. E mi racconta un’altra storia: quella dello sbancamento
del monte con un nuova cava, con i cui materiali verrà prodotto il calcestruzzo,
e della costruzione a ridosso della zona di estrazione di un cementificio.
“Dicono – mi spiega – che servirà per gli inerti a servizio della ricostruzione
post-sismica. Ma l’operazione è assai precedente al terremoto, e non è da
escludere che abbia a che vedere pure con il gasdotto”.
Ripartiamo,
ci inerpichiamo per le curve della comunale che portano ad Ospedaletto.
Arrivati al piccolo centro, mi fa segno con il braccio, come se fosse una
stadia, di dove passa il tubo. A fianco la chiesa di campagna, ora inagibile, e
ad un agriturismo, lesionato inesorabilmente pure quello. “Prima del terremoto
– ricorda – ci vivevano quassù circa cinquanta persone; ora sono rimaste
quattro, cinque famiglie, solo perché si sono fatte le casette faidate a spese
loro. Con tutti i problemi di presunto abuso edilizio, derivante dalla
normativa urbanistica che vieta di farlo”.
Ritorniamo
a Norcia, è ora di pranzo, ed è d’obbligo il panino con i salumi e il formaggio
locale. Seduti sulla panca di fronte l’area commerciale provvisoria, che ha già
del definitivo, sotto le mura di Porta Orientale, Arcangelo mi racconta che a
Norcia ci sono 696 SAE, e che dopo il terremoto, già tra quattrocento e
seicento abitanti se ne sono andati a vivere definitivamente in altre zone
della Regione, specialmente verso Spoleto e Corciano. Da lì, sotto i nuovi
negozi di tipicità norcine, mi indica dove si vorrebbe far passare il ventilato
trenino a cremagliera per portare i turisti direttamente da Norcia a
Castelluccio. Non riusciamo a non parlare del Deltaplano, il costruendo centro
commerciale e ricettivo sulla Piana di Castelluccio. Mi racconta un po’ di
storie e faccende locali, di come sono regolati alcuni rapporti e alcune
dinamiche locali. Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli in una puntata di
“Blu notte”, è veramente un’altra storia. E’ arrivato il momento di congedarci
con Arcangelo, ma sappiamo entrambi che si tratta di un arrivederci.
Riparto
da Norcia e mi rimetto in viaggio lungo il tubo, attraverso la piana, e
comincio a salire in direzione Cascia, lasciandomi sulla sinistra San
Pellegrino di Norcia, completamente raso al suolo la notte del 24 agosto 2016.
Arrivo a Civita, Comune di Cascia, immersa nella campagna d’altura. Dopo il
cartello dell’inizio del centro abitato, mi colpisce che sostanzialmente questa
frazione sia costituita da file di case a schiera, parallele fra loro. Non vedo
nessuno in giro, penso all’ora calda che sconsiglia di stare fuori. Ma poi,
entrato dentro la zona abitata, capisco il perché non ci siano folle in giro:
buona parte delle case, seppur di recente costruzione, penso ad un edilizia
fine anni settanta, sono tutte lesionate dal terremoto e in stato di abbandono;
quelle abitate sono una minoranza. Anche qui, penso, i lavori del gasdotto non
troveranno grandi resistenze. Ma lo shock vero lo provo quando entro a Castel
Santa Maria, piccola frazione di Cascia edificata su un colle, che sovrasta i
ruderi dell’antica chiesa cinquecentesca della Madonna della Neve. Entrando in
paese, la sensazione che provo è quella di entrare in un villaggio del far
west, quelli riprodotti dai maestri scenografi di Cinecittà, che il protagonista
del film trova arrivando, abbandonato dopo qualche razzia o epidemia tra gli
abitanti. Due file di villette a schiera si affacciano sulla strada. Buona
parte del pavè fatto di grandi lastre di porfido è saltato o è sconnesso. Le
case hanno tutte lesioni enormi, qualche crollo, lo stato di abbandono di molti
mesi è evidente. La spettralità, è resa più significativa dal fatto che anche
qui sono tutte costruzioni recenti.
“La
frazione antica stava più in alto – mi spiega la cortese titolare del Gabry Bar
a Savelli, piccola località che trovo tornando indietro – poi dopo il grande
terremoto del 1979 fu rifatta nuova più sotto con criteri antisismici, ma nel
2016 è stata di nuovo distrutta; adesso ci abitano solo due famiglie”. Il 19
settembre di 39 anni fa, una magnitudo di 5.8 Richter devastò la Valnerina,
facendo 5 vittime a Norcia e, il che spiega i ruderi che avevo visto, rase al
suolo il Santuario della Madonna della Neve. Anche Civita di Cascia, fu
ricostruita con criteri antisismici, prediligendo la sicurezza all’estetica, e
facendo diventare un borgo vivo, un grande dormitorio senza un bar e un
negozio. Ritrovo, nel documentarmi a casa al ritorno, una testimonianza su
Civita del 26 agosto 2016, che ci aiuta a capire: “A Civita il borgo
storico è un paese di fantasmi. «È un luogo romantico», ci racconta Silvana.
Una cartolina, un nido dove salire da fidanzati. Ma non ci vive nessuno. Dagli
anni novanta, e quindi oltre undici anni dopo il fatidico '79, tutti gli
abitanti si sono trasferiti nelle tre file di palazzine anonime a due e tre
piani. «La scossa dell'altra notte trema ancora- racconta Ivana - è stata una
catapulta, di una violenza, di una ferocia! E poi il rumore». Ma in casa e
fuori non è caduto nemmeno un pezzetto di intonaco. Si sono aperte tutte le
ante delle credenze, sono caduti i libri. Per questo tra le villette di Civita
ringraziano sempre e comunque «il geometra Ercoli, che pensò a questa soluzione
bruttina ma comoda e sicura». Case perfette dal punto di vista tecnico, «e
completamente sbagliate dal punto di vista sociale». Non una piazza, non un
bar, «la chiesa costruita verso il tramonto». Questo è un paese «dove non ci si
incontra mai» (www.ilgiornale.it). Poi, però il 30 ottobre del 2016, non ha risparmiato,
purtroppo, neanche questo esperimento di urbanistica post- sismica di quasi
quarant’anni fa. “Se ne parla sotto voce – ora sono riuscito a spostare l’interesse
della barista dal sisma al gasdotto – e qui rovineranno tutto, tagliano le
montagne per fare il cementificio. E’ il progresso, però… C’è un signore di S.
Andrea che sul gasdotto è molto arrabbiato, vedrai che più tardi arriva al
bar”. “Ma io purtroppo devo ripartire – le rispondo congedandomi e
ringraziandola – e poi se arriva e lo faccio parlare del gasdotto, si arrabbia
di nuovo e gli rovino la serata…”.
E dalla piana di
Norcia, attraversando una campagna estiva meravigliosa, salgo ad Ocricchio, dove
il tubo passerà indisturbato, in un paese che ancora è tutto zona rossa, e dove
l’abbandono ha contagiato anche il cantiere allestito dopo il terremoto;
giustificando anche qui la veridicità di una vera e propria “Strategia
dell’Abbandono” (2). “Ad Ocricchio ci vivevano prima del terremoto stabilmente
alcune famiglie, ma d’estate superava con i villeggianti le cento persone, mia
mamma era di lì – mi racconta la signora della Cioccolateria Vetustia Nursia di
Norcia, dove cedo alla tentazione del gelato e del cioccolato da riportare a
casa– e dopo il terremoto del ’79 era stato rifatto e ora è venuto di nuovo giù
tutto”.
Ritornando verso
la Valnerina, giunto quasi al termine del mio viaggio, salgo su a Preci al
castello, e a Roccanolfi, altre frazioni nursine interessate al passaggio del
gasdotto. “Ora su a Preci è tutto chiuso – mi racconta la giovane titolare del
bar provvisorio nella casetta di legno lungo la provinciale sotto il Castello –
prima ci abitavano venti, trenta persone; a Roccanolfi ora ci saranno due, tre
persone”. Chiedo del gasdotto. “Se ne parla – mi dice la ragazza – lo sappiamo
che lo faranno. Qui al bar sono venuti tempo fa dei ragazzi a portare dei
volantini di quelli contrari”. A questo punto si gira un paesano dal volto
simpatico e dal barbone brizzolato, finora sprofondato dentro la Gazzetta dello
Sport su un tavolino del bar. Abbandona il giornale e si alza verso di noi, ci
tiene a far parte della conversazione, e a dire la sua: “Qui – riferendosi al
tubo – ci vuole proprio per queste zone. Tanto è gas e sta sottoterra, e poi
porteranno lavoro, qui sono tutti monti, tanto. Ma dove passa di preciso? “Qui
dietro – gli spiego – proprio tra queste frazioni” Adesso il suo piglio si
rammollisce, mi guarda interdetto, come quelli che “qualunque cosa mi va bene,
ma non nel cortile di casa mia”. “Ah beh – adesso è un po’ più timoroso – però
tanto non scoppia, tuttalpiù prende fuoco…”
Note
(1)
Definizione delle SAE data dalla Rete dei
Movimenti TERREINMOTO MARCHE, dicembre 2017
pubblicato da https://www.terredifrontiera.info/ il 24.07.2018