Ho indossato la maglietta
rossa per rispondere all’appello di Luigi Ciotti; che può essere considerato
tutto, fuorché un radical chic. Si, perché
ho letto pure, da chi deve distinguersi sempre, non per l’originalità di un suo
pensiero, ma solo per avere un’opportunità in più di ampliare la propria
visibilità, che l’iniziativa della maglietta rossa, aiuta a dare altri voti a
quelli lì; quindi, conclusione, atteggiamento tipico dei radical chic. Ho indossato la maglietta rossa, pur consapevole che
oggi non mi sarei mosso da questa frazione di poco più di trenta persone; salvo,
confesso, una veloce toccata e fuga poco lontano per comprare i sigari… E stare
qui con la maglietta rossa, oggi, ha un grande senso. Girarci intorno ad una
frazione di case diroccate, pericolanti alcune, abbandonate da anni, che
neanche il Comune sa più precisamente di chi siano. Pensare che tra questi
abitanti ci sono solo sei bambini e molti vecchi che, per ragioni inevitabili
della vita umana, tenderanno a diminuire; sapere che alcune famiglie già ora,
per come sono i servizi, la mobilità, la cura dell’abitato, se avessero un’occasione
alternativa, se ne andrebbero di corsa in città o in pianura. Ma già adesso,
per le case abitabili che ci sono, gli abitanti potrebbero essere oltre il
centinaio. Ma gli abitanti non ci sono. E non lo diventeranno quelli che
passano in bicicletta, molti dei quali buttano rifiuti per terra, o pisciano
dietro al pino accanto all’edicola sacra. Non lo diventeranno gli escursionisti
e i climbers, che parcheggiano in
maniera scomposta, ché se lo fanno a casa loro, alla seconda volta gli rigano
la macchina. Non lo diventeranno i turisti da toccata e fuga che vengono a vedere
le Grotte di Frasassi e, sconsolati da quello che c’è intorno, se la filano a
gambe levate. Non lo diventeranno i pronipoti che a Ferragosto, si ricordano che
hanno una bisnonna o la prozia, e la vengono a trovare, ché così si fa pranzo e
giornata tutto low cost; e magari la nonna, quando si riparte, c'allunga pure cinquanta euro... Non lo
diventeranno le piccole cricche autoreferenziali che passano le giornate, di
convegno in convegno sui temi delle aree interne. Non lo diventeranno gli imprenditori
e i loro cortigiani che, con la scusa del terremoto, si propongono come
mecenati e filantropi, ma che in realtà hanno escogitato un nuovo modo di farsi
gli affari loro. Io oggi sto qui, con la maglietta rossa, perché penso che
queste comunità abbandonate sull' l’Appennino le possano salvare solo i migranti. E
lo penso sul serio. Che diventano i nuovi abitanti, che diventano cittadini,
che qui vivono, lavorano, ricostruiscono (ecco la Ricostruzione) qui, e con chi
qui ha scelto di restare, un nuovo progetto di vita, dopo la fuga dalla fame,
dai cambiamenti climatici, da qualche tiranno sanguinario. Ripopolando l’Appennino,
dando nuova vita a comunità senza alcun futuro di continuità demografica.
Prendendosi cura del territorio in cui abitano. Nuove comunità meticce, giovani
che si prendono cura dei vecchi, ché quando dovessero aver bisogno, se aspettano che arriva il nipote (quello di Ferragosto), da centinaia di chilometri di distanza, non la raccontano. Dobbiamo fare una grande operazione verità, su
questa prospettiva, di cui Vito Teti e Franco Arminio, solo per fare due nomi, scrivono
e dicono da anni. Consapevoli che sia la vera e sola efficace per la vita di
questi territori; suffragata dai numeri, quelli non ideologici, che danno l’ISTAT,
l’INPS, e la demografia nazionale. E supportata, da queste parti, non da un provocatorio realismo
bucolico, ma con i dati che ci arrivano, di ogni genere scientifico, a quasi due
anni dal terremoto che ha ribaltato l’Appennino Centrale. Dati demografici, economici, sociali, sanitari, che definiscono una tendenza inesorabile verso un rapido abbandono. Con tutto il resto, ci
continuiamo a prendere in giro. Le aree interne moriranno o diventeranno solo
un grande luna park all'aperto per ricchi; in molti lavorano, anche a volte in competizione tra loro, per entrambe le soluzioni. E chi le ha spolpate fino ad oggi
per arricchirsi, continuerà impunemente a farlo. Dopotutto, chi arriva dopo una
migrazione da un Paese lontano, pensate davvero, a meno che non abbiate un pregiudizio razziale e
xenofobo, che al paesello sarebbe molto più carogna, scassacazzi, egoista,
pericoloso, di molti che ci sono nati e vissuti da sempre? Io no, per
esperienza diretta, come si dice; che non fa statistica, ma rende l’idea. Per
cui, oggi rimango qui con la maglietta rossa. Consapevole che, grazie ad una
politica spietata e diabolica, razzista e fascista nell’anima, e interessata
solo al consenso, molti, tanti e di più, moriranno ancora; lasciati affogare nel
Mediterraneo, asfissiati dentro il cassone di un camion, dispersi nel gelo di
un passo alpino. Ma alla fine, arriveranno comunque, ovunque, da ogni dove. E quando verranno a vivere
anche in questa frazione, in case che già ora non compra e vende più nessuno, e che i
loro bambini scorrazzeranno per la via, e che ai vecchi rimasti qualche braccio
robusto metterà a posto la legna per l’inverno, questo posto sarò un luogo
migliore di quello che è adesso. E allora anche il paesano, un po’ razzista per
induzione televisiva e social, che tempo fa, quando sono arrivati sei o sette
richiedenti asilo qui vicino, mi diceva “ma, se in fondo nostro Signore ci ha
fatto tutti diversi, un motivo ci sarà”, elaborando un pensiero teologico
alquanto originale e tutto suo, prenderà atto, che in posti come questo, la
vita prosegue se ci sono le persone che ci vivono, perché, i turisti, tanto, ad
una certa, se ne vanno via. E che #magliettarossa e #strategiadellabbandono, non
sono le facce della stessa medaglia; ma la prima è l’antidoto alla seconda.
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