Gli outing solitamente
sono postumi; a dei fatti o a delle scelte. In questo il mio ha una sua
originalità. Lo faccio prima. C'ho pensato a lungo, libero da condizionamenti e
sollecitazioni esterni; giuro di non aver ricevuto telefonate, email, sms o whatsApp. L'unico fattore
motivazionale che c'è, pressante, è quello di una consapevolezza molto inquieta
dei tempi che stiamo attraversando. Quelli in cui i nodi, o meglio gli effetti
di un’involuzione culturale e valoriale, dopo una ventina e passa di anni, sono
venuti tutti al pettine. In questo sì, come si dice adesso, mi riconosco di
essere da tempi non sospetti, “gufo”. Anche da prima del conio di questa
espressione, che chiama ingenerosamente, e colpevolmente in causa, un animale
notturno bellissimo e straordinario. Dopotutto stiamo prendendo atto, sperimentandoli
avventurosamente, degli effetti a rilascio prolungato di una stagione culturale
e sociale del Paese, quella del “Drive-in”. Che se finora ci fosse sfuggito,
una classe dirigente per l’oggi l’ha forgiata. Non è un caso infatti che le due
più forti leadership politiche di questi ultimi anni, pur nelle differenze
ideali, siano incarnate da due poco più che quarantenni, Renzi e Salvini. La cui
sola esperienza meritocratica e selettiva giovanile che possono annoverare
entrambi nel proprio curriculum, è quella di aver concorso ad un quiz
televisivo del gruppo Mediaset.
Tra due domeniche andrò a votare alle primarie del PD. Ecco qua.
Convinto già dalla sua nascita, che fosse un progetto politico sbagliato. E che
se negli anni è finita così, non poteva andare diversamente. Perché non si
fonda un nuovo partito a seguito di un'intercettazione telefonica (la
famigerata telefonata tra Fassino e Consorte sulla banca), liquidando in un'estate
una storia politica comunitaria di centinaia di migliaia di persone. Sono anche
convinto dalla prima ora che le primarie, come strumento decisionale, siano una
cazzata, almeno in Italia. Perché i gruppi dirigenti di un partito non si
determinano sotto un gazebo. Ma sono il frutto faticoso di progettualità,
visione, discussione. Non sto neanche attraversando il tempo di un ritorno di
fiamma per l'impegno e la militanza politica. Anzi, il solo intimo pensiero di
entrare in una sede di partito, o di passare del tempo in una riunione
politica, mi genera immediatamente un profondo senso di angoscia e depressione.
Andrò a votare alle primarie anche consapevole della distanza che, su molti
temi e valori, si è cristallizzata tra me e questo partito, che non voto più da
anni. Non dimentico del fatto che, come direbbe il Noodles di Sergio Leone, nel
finale del film: "Vede signor senatore, anche io ho una mia storia, un po’
più semplice della sua". E che, di tanti generali e pretoriani piddini del
centro e di periferia, conosco non solo, citando un film ungherese, “Vizi privati,
pubbliche virtù”, ma anche vizi pubblici e virtù private. Sono stato nel PD,
dall’inizio; ma arrivando da un po’ più lontano. Perché anche allora pensavo
che fosse la cosa più credibile e solida, con quello che lo scioglimento dei DS
si lasciasse alle spalle ed intorno. Poi ad un certo punto, anni fa, non sono
uscito dal PD, ma è stato il PD ad uscire da me. Senza esorcismo. Nel senso
pratico che da un anno all’altro nessuno m’ha più chiesto di riprendere la
tessera. Non ho cercato nuove case politiche, non ho militato più in niente.
Sono rimasto un comune elettore di sinistra. Ma oggi, a differenza di tanti,
non appartengo alla schiera, di chi in buona fede o di chi più interessato, ha
scelto l’anno scorso il "ma si, proviamo". E che ora, con il ricordo
di ventenni rivoluzionari, si ritrovano ingrigiti a spingere il carro
gialloverde del vincitori. Andrò alle primarie, sicuro del fatto che la Regione
in cui vivo, sia dal 2015 amministrata dal peggior Presidente e dalla peggiore Giunta
che le Marche abbiano avuto dall'istituzione del regionalismo, il 1970. Al
netto della gestione del terremoto del 2016. E che stanno portando a
sfracellarsi, dando ogni giorno sempre più gas, come sulla Lancia Aurelia di Gassman
e Trintignant, una importante tradizione politica e un territorio di poco più
di un milione e mezzo di persone; e a consegnare le chiavi del Governo
Regionale alla destra, che ha già fatto cappotto un anno fa alle politiche. Non
mi sfugge neanche, anzi, che il PD sia il partito di Minniti; altrettanto,
seppur diversamente, spietato sui migranti rispetto a chi gli è succeduto.
Però. C'è poi il però. La sensazione, non epidermica, istintiva, né emozionale,
ma politica, che se c'è un qualcosa che respinge indietro la notte nera che
avanza, è un qualcosa che passa per forza da che succede “al e nel” PD. Non si
può aggirare questa vicenda, nel pensare a come ribaltare un trend culturale e
politico che sembra incontrovertibile. Non è con partitini e listini, di mera
testimonianza, che si batte la destra. Serve un baricentro sostanzioso al campo
democratico. Dal PD, dall’unico soggetto politico democratico di rilievo, anche
se malconcio, non si può prescindere. Dal basso e da sinistra, purtroppo, non
si riesce ad autogenerare e costruire più niente. Inutile prenderci in giro.
Esperienze belle, significative, eticamente di spessore. Ma elettoralmente irrilevanti.
Anche alcuni tentativi che mi sono messo ad osservare con interesse e
curiosità, e che rimettono in circolo buone persone, assieme a qualche stanco
elefante; ma tutte gracili, temporanee. Per essere rilevanti bisogna vincere le
elezioni. Non esiste altro metodo democratico. C'è poco da dire, o da fare.
Tutto il resto è minoritarismo politico. Fatto da persone bellissime, a molte
delle quali sono affezionato. In un arcipelago sparpagliato, in cui ancora pascolano
anche tanti tristi e incanutiti professionisti delle sconfitte. Maestri delle
sciagure elettorali annunciate. Un mondo nobile, ma che non inverte nulla. Si
dice solo alla notte che è nera, brutta e maligna. Ma non la si ricaccia
indietro. Non c'è più, e forse non c'è mai stato, tempo per fare il partito che
ancora ha da venire. Godot non arriverà. Qui, come nella drammaturgia di Beckett.
Bisogna puntare l'ultima fiche sul
solo numero della roulette, su 36, che può uscire. Sperando che vada bene. Che
lì, nel PD, dopo le primarie, succeda finalmente davvero qualcosa. Perché lì
almeno si può giocare, è l'unico partito rimasto dove chiunque può partecipare;
le primarie sono un metodo discutibile, ma almeno sono aperte e tutti. Non lo è
la piattaforma digitale, manipolata dall'algoritmo dello studio associato; nei
partiti di destra si obbedisce al ducetto; non lo sono le tante microscopiche
appartenenze che pretendono fideismo e dichiarazioni di dogmatismo ideologico,
o fedeltà al guappo di turno. Per cui io, alla soglia dei 50 anni, abbastanza
impaurito sui tempi che corrono, il 3 marzo andrò alle primarie del PD;
mentendo, per primo a me stesso, mi dichiarerò elettore di quel partito, consapevole già da ora che non lo voterò alle europee, e infilerò la schedina nello scatolone sotto il gazebo. Perché, il giorno dopo, a far vacillare anche per poco la
notte, servono anche i numeri. La partecipazione è quello che conta veramente.
Molto più dell'esito del voto. Di chi avrà vinto, o di chi avrà perso le
primarie. La politica è così, e non da oggi. E in questo la solita solfa del “meno
peggio” o del montanelliano “turarsi il naso”, non centra nulla. La politica, è
una scienza esatta. Per primo. Poi, è valori, passione, sentimento, tutto
quello che si vuole. Poi, me ne ritornerò a casa, alle mie passioni e ad
occuparmi di cause che mi stanno non solo a cuore, ma sotto casa. E a guardare,
essendo escluso a priori dal dare una mano, non potendo vantare uno ius soli de noantri, all’imminente sciagura
elettorale degli sparuti piddini locali del paesello. Che consentiranno l’ennesima
elezione consociativa di un sindaco sottopadrone; nel pieno solco del mai domo
democristianesimo della lavatrice. E che darà il colpo di grazia a questo
territorio e ad un paese in progressiva estinzione. Tornerò insomma al mio
“irredentismo montanaro”, come un po’ provocatoriamente mi definito l’amico
Mario Di Vito nel suo libro. E ad interessarmi di temi che riguardano
l’ambiente, il paesaggio, il futuro dei paesi e di chi ci vive. Tutte cose che
finora, non sono nell’agenda politica del PD. Che quasi sempre persegue il
contrario. Sperando, però, che intanto il dispetto più grosso, il 4 marzo, io l'abbia
fatto alla notte. Perché è lei il pericolo, se ancora non fosse chiaro. Tutto
il resto è noia. O chiacchiere, belle, come si dice adesso, di radical
chic e buonisti. Perché in fondo, a dire quanto sono stronzi, incapaci, o
fascisti, su Facebook, si è buoni in tanti. Poi, però, bisogna trovare anche il
modo, concreto, di metterci il corpo. Per me, spendere due euro il 3 marzo, mi
pare questo sia il costo, diventa un piccolissimo modo, quasi indolore, di metterci
il corpo. Sopportabile.
Ammiro la fiducia, pur sapendo che chi è dietro quelli che voterai, saranno sempre gli stessi. Almeno è quel che succede nel mio paesello adottivo. Alle primarie ha vinto il figlio amato della vecchia e catastrofica giunta Pd. Il tuo è un discorso molto lucido, e logico. I miei inorridirono quando tutta l'Italia votò la DC, "turandosi il naso". Deve essere ereditario.
RispondiEliminaVi auguro un certo qual moto dell'animo dei candidati. Tutto può succedere e forse hai ragione tu. Oh come me lo auguro anch'io!!!�� Paola Di Giulio